- Coronavirus, in crescita i tamponi e le spese. 19° Instant Report ALTEMS Covid-19
L’emergenza Covid ha prodotto un sensibile aumento del personale sanitario, specie in alcune specialità mediche, ma poco in Lombardia, la Regione italiana più colpita dall’epidemia.
Prendendo in considerazione le discipline afferenti alla gestione del COVID-19 - ovvero anestesia e rianimazione, malattie infettive, medicina e chirurgia d’accettazione e urgenza, malattie dell'apparato respiratorio - nelle 5 Regioni prese in esame (Veneto, Lombardia, Lazio, Piemonte e Marche) è possibile riscontrare un sistematico incremento nella richiesta di personale medico, con il primato in capo al Veneto. Considerando 69 bandi di concorso attivati, per le 4 specializzazioni mediche considerate, sono stati assunti (o in fase di assunzione) 444 medici di cui il 61% in Veneto, il 20% nel Lazio e solo il 3% in Lombardia. Il personale infermieristico, invece, sembrerebbe in leggero aumento seppur in misura inferiore rispetto al personale medico. In particolare, la richiesta di personale infermieristico sembrerebbe essere più marcata nel Piemonte e nel Lazio.
È quanto emerso dalla 19ma puntata dell’Instant Report Covid-19. Il report si è arricchito di un’indagine sul personale sanitario medico ed infermieristico per i quali è stato indetto un concorso pubblico nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 ed il 9 settembre 2020.
L’Instant Report è una iniziativa dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di confronto sistematico dell’andamento della diffusione del Sars-COV-2 a livello nazionale. L’analisi riguarda tutte le 21 Regioni e Province Autonome con un focus dedicato alle Regioni in cui è stato maggiore il contagio (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Marche e Lazio). Il gruppo di lavoro dell’Università Cattolica, è coordinato da Americo Cicchetti, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore con l’advisorship scientifica del Professor Gianfranco Damiani e della Dottoressa Maria Lucia Specchia del Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica (Sezione di Igiene).
A partire dal Report #4 la collaborazione si è estesa al Centro di Ricerca e Studi in Management Sanitario dell’Università Cattolica (Professor Eugenio Anessi Pessina) e al Gruppo di Organizzazione dell’Università Magna Græcia di Catanzaro (Professor Rocco Reina). Il team multidisciplinare è composto da economisti ed aziendalisti sanitari, medici di sanità pubblica, ingegneri informatici, psicologi e statistici.
La finalità è comprendere le implicazioni delle diverse strategie adottate dalle Regioni per fronteggiare la diffusione del virus e le conseguenze del Covid19 in contesti diversi per trarne indicazioni per il futuro prossimo e per acquisire insegnamenti derivanti da questa drammatica esperienza.
È stata inserita anche l’analisi della riorganizzazione della rete ospedaliera (art. 2 DL 34 del 19 maggio 2020) con uno specifico focus sui posti letto di terapia intensiva pre-emergenza Covid - 19, durante la fase 1 e a regime come da programmazione regionale (DL34/2020).
Quadro epidemiologico
In merito agli aspetti epidemiologici si confermano le differenze importanti in termini di incidenza della diffusione del Covid-19 nelle diverse Regioni che proseguono anche nella Fase 2. I dati (al 08 Settembre) mostrano che la percentuale di casi attualmente positivi (n = 33.789) sulla popolazione nazionale è pari allo 0,06% (quasi raddoppiato rispetto ai dati del 1/09). La percentuale di casi (n= 280.153) sulla popolazione italiana è in sensibile aumento, passando dallo 0,45% allo 0,46%.
Il primato per la prevalenza periodale sulla popolazione si registra in Lombardia (1,01%), seguita da Valle d’Aosta (1,00%) e PA Trento (0,99%) ma è in Emilia-Romagna e Lombardia che oggi abbiamo la maggiore prevalenza puntuale di positivi (0,08%), con valori in leggero aumento nelle altre regioni, e con un media nazionale pari a 0,06%.
Tamponi diagnostici
Per quanto riguarda la ricerca del virus attraverso i tamponi, si osserva che nella maggior parte delle Regioni solo una minoranza dei casi accertati di COVID-19 risulta diagnosticata a partire dai test di screening,
Il trend nazionale sul tasso dei tamponi effettuati (per 1000 abitanti) è in ascesa dal mese di luglio, e pari a 10,6 tamponi per 1000 abitanti (la settimana scorsa il tasso era di 9,94).
Relativamente al tasso settimanale di nuovi tamponi, i valori più alti di tamponamento vengono registrati nelle regioni del nord (Veneto, PA Treno ed Emilia-Romagna). Il valore più basso viene registrato nella Regione Calabria (5,37).
Nella settimana appena trascorsa (dal 2 al 9 settembre) i costi sostenuti dal Ssn per realizzare i tamponi in Italia sono cresciuti di 22 milioni di euro raggiungendo il valore complessivo di oltre 331 milioni di euro, con una crescita del +6,7% in una sola settimana. Nella Regione Lazio l’accelerazione della spesa (dovuta alla crescita del numero di tamponi) è del +10,3% in una sola settimana. Le Regioni con la maggiore accelerazione (dopo il Lazio) sono la Campania (+9,3%) e Toscana (+8,3%).
Test diagnostici rapidi
Sebbene i test per il coronavirus siano in aumento in tutto il mondo, il problema della velocità e della precisione della diagnosi continua a costituire una sfida per le autorità sanitarie.
Nella seconda metà del 2020 sono stati sviluppati dei test diagnostici rapidi che rilevano la presenza del virus in soggetti infetti. Questi test sono in genere basati sulla rilevazione di proteine virali (antigeni) nelle secrezioni respiratorie (tamponi oro-faringei o saliva). Se l’antigene o gli antigeni virali sono presenti in sufficienti quantità, vengono rilevati mediante il legame ad anticorpi specifici fissati su un supporto, producendo la formazione di bande colorate o fluorescenti.
Questi test rapidi possono fornire una risposta qualitativa (si/no) in tempi molto rapidi (circa 30 minuti), e non richiedono apparecchiature di laboratorio, anche se per la lettura dei risultati di alcuni test eÌ necessaria una piccola apparecchiatura portatile. Inoltre, tali test possono essere eseguiti sia nei laboratori (diminuendo la complessità e i tempi di lavorazione) sia anche al “punto di assistenza” (cosiddetto “point of care”), prevalentemente presso stazioni/aeroporti e negli studi dei pediatri e medici di famiglia, da personale sanitario che non necessita di una formazione specialistica.
I test antigenici rapidi sono in genere peroÌ meno sensibili del test molecolare classico eseguito in laboratorio, con una sensibilità (indicata dal produttore) nel migliore dei casi non superiore all’85% (cioè possono non riconoscere 15 soggetti su 100 infetti da SARS-CoV-2), anche se in genere la loro specificità appare buona (riconoscono solo SARS-CoV-2). Recenti validazioni cliniche fatte dai laboratori del SSN hanno mostrato una sensibilità reale di circa il 50% con una specificità superiore al 98%.
In Italia tali test sono stati utilizzati per la gestione degli screening di massa riferiti ai rientri dalle vacanze da Lazio, Veneto ed Emilia-Romagna mentre la Lombardia al momento ha pubblicamente definito i test antigenici rapidi poco affidabili.
“La disponibilità dei test diagnostici rapidi è di estrema importanza per attuare strategie di sanità pubblica efficaci a contenere il contagio e a garantire una quotidianità quanto più normale possibile in vista della stagione invernale – commenta il dottor Andrea Silenzi, ricercatore presso Centro di Ricerca e Studi sulla Leadership in Medicina dell’Università Cattolica. L’obiettivo – continua - è garantire a tutti test rapidi, affidabili e non invasivi.
Al momento la bassa sensibilità di questi test è un limite all’utilizzo estensivo al di fuori delle campagne di screening attuate da alcune Regioni in setting specifici (es. aeroporti per rientro da località dove la circolazione del virus è maggiore) con l’obiettivo di individuare le persone a maggior rischio di aver contratto SARSCoV2 e quindi da sottoporre a tampone nasofaringeo per la diagnosi con test molecolare (RT-PCR). Tuttavia, è prevedibile che nuovi sviluppi tecnologici basati sulle evidenze scientifiche permetteranno di realizzare test diagnostici rapidi, molecolari e antigenici, maggiormente accurati”.
- NIENTE TICKET SANITARIO IN LOMBARDIA PER PAZIENTI CORONAVIRUS COVID-19
"I cittadini lombardi che hanno avuto il Covid e devono sottoporsi ad esami e visite di accertamento dovute alla malattia continueranno a non pagare il ticket sanitario per tutto il 2020. La Giunta regionale ha infatti ha approvato il rinnovo dell'esenzione con codice D97". Lo rendono noto il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e l'assessore al Welfare Giulio Gallera.
Come spiega lo stesso assessore, l'agevolazione comprendera' "tutte le attivita' di follow up post Covid" come in particolare "le visite infettivologiche, pneumologiche, cardiologiche, neurologiche, fisiatriche ed ematologiche con gli esami diagnostici ad esse collegate". Gallera annuncia anche l'inclusione dei colloqui psicologici-clinici "particolarmente importanti per molte persone colpite da coronavirus".
Il beneficio 'aggiornato' dalla regione lombarda era stato introdotto il mese di giugno scorso con validita' fino ad oggi, 7 settembre, in previsione di una norma analoga a livello nazionale. "Non essendo stabilita alcuna agevolazione da parte del Governo- sottolinea Gallera- la Lombardia ha deciso di estendere temporalmente questa importante misura, ritenendo fondamentale ogni attivita' di controllo e di indagine diagnostica successiva alla malattia".
Il provvedimento, come fanno sapere da Palazzo Lombardia, ha una copertura finanziaria di 4,4 milioni per il 2020. In sede di bilancio e a fronte dell'evoluzione del quadro epidemiologico sara' definita la quota per il 2021.
- Scuola, corsi Fad Iss-ministero Istruzione per i referenti coronavirus COVID-19 e per i professionisti sanitari
Un percorso formativo per insegnanti, personale scolastico e professionisti sanitari per monitorare e gestire possibili casi di COVID-19 nelle scuole.
È questa l’iniziativa organizzata grazie alla collaborazione fra Istituto Superiore di Sanità e Ministero dell’Istruzione, che nasce per accompagnare gli Istituti scolastici nell’attuazione delle “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia”.
Il documento tecnico è stato messo a punto da ISS con Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, INAIL, Fondazione Bruno Kessler, Regione Veneto e Regione Emilia Romagna, approvato in Conferenza Unificata Stato-Regioni.
L’obiettivo del percorso formativo, che si svolgerà online, è fornire un supporto operativo ai decisori e agli operatori nel settore scolastico e nei Dipartimenti di Prevenzione che sono a pieno titolo coinvolti nel monitoraggio e nella risposta a casi sospetti e/o confermati di COVID-19, nonché nell’attuare strategie di prevenzione a livello comunitario.
La formazione è offerta attraverso due corsi gratuiti che saranno disponibili fino al 15 dicembre 2020, fruibili su piattaforma EDUISS e che potranno ospitare fino 70mila partecipanti, con possibilità di estensione.
Il primo Corso per personale scolastico ed educativo è riservato alle figure professionali della scuola designate a svolgere il ruolo di referente scolastico COVID-19. Ai partecipanti che avranno completato tutte le attività previste e superato il test a scelta multipla di valutazione finale sarà rilasciato l’attestato di partecipazione.
Il secondo Corso ECM per professionisti sanitari è riservato al personale dei Dipartimenti di Prevenzione (DdP) incaricato di svolgere la funzione di referente COVID-19 per l'ambito scolastico. Possono accedere al Corso anche i Medici di Medicina Generale (MMG), i Pediatri di Libera Scelta (PLS) nonché i componenti delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA) che desiderano essere formati sulle indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia, considerato il loro ruolo strategico nei percorsi diagnostico-assistenziali. Il Corso è accreditato per le seguenti figure professionali: Medico chirurgo (tutte le discipline ECM), assistente sanitario, biologo, psicologo, tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, infermiere, infermiere pediatrico.
Il metodo didattico utilizzato è attivo ed è basato sui principi dell'apprendimento per problemi, Problem-Based Learning (PBL), in cui i singoli partecipanti si attivano attraverso la definizione di propri obiettivi di apprendimento e la soluzione di un problema, ispirato al proprio contesto professionale. La formazione sarà svolta interamente a distanza, in modalità asincrona.
Al termine del Corso i partecipanti saranno in grado di utilizzare gli elementi operativi per la preparazione, il monitoraggio e la risposta a potenziali casi o focolai di COVID-19 collegati all'ambito scolastico e dei servizi educativi per l'infanzia adottando modalità razionali, condivise e coerenti sul territorio nazionale.
Il tempo previsto per la fruizione di ciascun Corso è di 9 ore e prevede il rilascio di 11,7 crediti ECM: i partecipanti potranno accedere liberamente in Piattaforma EDUISS nelle 24 ore, previa registrazione e iscrizione al Corso.
Modalità di iscrizione
Il partecipante deve iscriversi autonomamente online all'indirizzo
https://www.eduiss.it
Per accedere al Corso sarà necessario autodichiarare di appartenere ad una delle categorie a cui il Corso è riservato.
L'iscrizione avviene attraverso le seguenti fasi:
1) Creazione del proprio account in piattaforma all'indirizzo https://www.eduiss.it
2) Iscrizione al Corso selezionando tra i corsi disponibili il titolo del Corso "Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia” (scegliendo l’edizione per professionisti sanitari OPPURE per personale scolastico ed educativo)
Per ulteriori informazioni consultare il programma dettagliato dei Corsi su Piattaforma EDUISS: programma del corso per il personale scolastico ed educativo incaricato e programma del corso per i professionisti sanitari incaricati.
- Coronavirus, i farmaci per il cuore sono sicuri per i pazienti con Covid-19 #ESC2020 #EscCongress
I cardiopatici ospedalizzati con COVID-19 possono continuare a prendere in sicurezza gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina (ACE) e i bloccanti del recettore dell'angiotensina (ARB), secondo lo studio BRACE CORONA, presentato in una sessione Hot Line al Congresso ESC 2020.1
Gli ACE inibitori e gli ARB sono comunemente assunti dai pazienti cardiopatici, per ridurre la pressione sanguigna e per trattare l'insufficienza cardiaca. Esistono prove osservazionali contrastanti sul potenziale impatto clinico degli ACE inibitori e degli ARB sui pazienti con COVID-19.2 Alcune indagini precliniche hanno sollevato preoccupazioni sulla loro sicurezza nei pazienti con COVID-19. I dati preliminari ipotizzano che gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) potrebbero beneficiare i pazienti con COVID-19 riducendo il danno polmonare acuto e prevenendo l'infiammazione polmonare mediata dall'angiotensina-II.
Dato l'uso frequente di questi agenti in tutto il mondo, sono urgentemente necessarie prove cliniche randomizzate per guidare la gestione dei pazienti con COVID-19.
L'enzima di conversione dell'angiotensina 2 (ACE2) legato alla membrana è il recettore funzionale per SARS-CoV-2, il virus responsabile della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19).3 L'espressione di ACE2 può aumentare a causa della sovraregolazione nei pazienti che utilizzano ACE inibitori e ARB.4
Lo studio BRACE CORONA è di tipo randomizzato di fase 4, con due strategie: interrompere temporaneamente l'ACE inibitore / ARB per 30 giorni rispetto alla continuazione degli ACE inibitori / ARB in pazienti, che assumevano questi farmaci cronicamente e sono stati ospedalizzati con una diagnosi confermata di COVID-19. L'outcome primario era il numero di giorni vivi e fuori dall'ospedale a 30 giorni.
I pazienti, che stavano usando più di tre farmaci antipertensivi, o sacubitril / valsartan, o che erano emodinamicamente instabili alla presentazione, sono stati esclusi dallo studio.
Lo studio ha arruolato 659 pazienti da 29 siti in Brasile. Tutti i partecipanti utilizzavano cronicamente un ACE inibitore o ARB e sono stati ricoverati in ospedale con COVID-19. I pazienti sono stati assegnati in modo casuale alla sospensione dell'ACE inibitore / ARB per 30 giorni o alla continuazione dell'ACE inibitore / ARB.
Il numero medio di giorni vivi e fuori dall'ospedale è stato di 21,9 giorni per i pazienti che hanno interrotto gli ACE-inibitori / ARB e di 22,9 giorni per i pazienti che hanno continuato questi farmaci. Il rapporto medio di giorni vivi e fuori dall'ospedale tra i gruppi sospesi e quelli continuativi era 0,95 (intervallo di confidenza al 95% [CI] da 0,90 a 1,01, p = 0,09). La differenza media tra i gruppi è stata di -1,1 giorni (IC al 95% da -2,33 a 0,17).
La percentuale di pazienti vivi e fuori dall'ospedale entro la fine dei 30 giorni nel gruppo ACE inibitore / ARB in sospensione era del 91,8% contro il 95% nel gruppo continuativo. Un tasso di mortalità a 30 giorni simile è stato osservato per i pazienti che hanno continuato e sospeso l'assunzione di ACE inibitore / ARB (2,8% contro 2,7%, rispettivamente con un rapporto di rischio di 0,97).
"Questo è il primo dato randomizzato che valuta il ruolo della continuazione rispetto all'arresto di ACE inibitori e ARB nei pazienti con COVID-19- ha detto il professor Renato Lopes, ricercatore principale, del Duke Clinical Research Institute, Durham, USA- Nei pazienti ricoverati con COVID-19, la sospensione di ACE inibitori e ARB per 30 giorni non ha influito sul numero di giorni vivi e fuori dall'ospedale".
"Questi dati indicano che non vi è alcun beneficio clinico dall'interruzione di routine di questi farmaci in pazienti ospedalizzati con COVID-19 da lieve a moderato, quindi dovrebbero in generale continuare a seguire la prescrizione".
1Abstract title: Continuing versus suspending ACE inhibitors and ARBs: Impact of adverse outcomes in hospitalized patients with COVID-19--The BRACE CORONA Trial.
2Patel AB, Verma A. COVID-19 and Angiotensin-Converting Enzyme Inhibitors and Angiotensin Receptor Blockers: What Is the Evidence? JAMA. 2020;323:1769–1770.
3Gheblawi M, Wang K, Viveiros A, et al. Angiotensin-Converting Enzyme 2: SARS-CoV-2 Receptor and Regulator of the Renin-Angiotensin System. Circ Res. 2020;126:1456–1474.
4Soler MJ, Barrios C, Oliva R, et al. Pharmacologic Modulation of ACE2 Expression. Curr Hypertens Rep. 2008;10:410–414.
- CORONAVIRUS. COVID-19 E GRAVIDANZA, STUDIO SU TRASMISSIONE MADRE-FIGLIO
"Un team di ricercatori bresciani coordinato dal professor Fabio Facchetti, Direttore del Laboratorio di Anatomia Patologica dell'Universita' degli Studi di Brescia/Spedali Civili di Brescia, ha fornito per la prima volta le prove definitive relative alla possibilita', seppur molto rara, della cosiddetta 'trasmissione verticale' dell'infezione SARS-Cov-2 dalla madre al feto attraverso la placenta". Cosi' in una nota l'Universita' degli Studi di Brescia.
"Allo studio,- si legge ancora- pubblicato sul numero di settembre della rivista EBioMedicine del prestigioso gruppo editoriale The Lancet, hanno collaborato il Reparto di Virologia dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell'Emilia-Romagna (Dr. Antonio Lavazza), la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell'Universita' degli Studi di Brescia/Spedali Civili di Brescia (Direttore prof. Enrico Sartori), l'IFOM di Milano (Dr. Stefano Casola) e l'Unita' di Immunologia Oncologica dell'Universita' di Palermo (Prof. Claudio Tripodo)".
"I ricercatori- fanno sapere- hanno esaminato la proteina spike del virus SARS-CoV dalla placenta di 101 donne che hanno partorito tra il 7 febbraio e il 15 maggio 2020 presso gli Spedali Civili di Brescia, tra cui 15 sono risultate positive al virus, 34 negative e 52 non valutabili o per mancanza di appositi criteri o per aver partorito prima della dichiarazione della pandemia".
"Lo studio- proseguono- si e' focalizzato sulla placenta di una giovane donna ricoverata alla 37esima settimana di gravidanza per la comparsa di febbre e altri sintomi ricollegabili all'infezione da Covid-19. La donna, risultata poi positiva al virus, ha dato alla luce per parto indotto un neonato maschio, che a 24 ore dalla nascita e' risultato anch'esso positivo, sviluppando polmonite con difficolta' respiratoria. Attraverso varie tecniche di indagine, i ricercatori hanno dimostrato la presenza di SARS-CoV-2 in diverse componenti della placenta, appartenenti sia alla madre (cellule infiammatorie nel sangue materno), che al feto. In particolare le proteine virali spike e nucleocapside, cosi' come l'RNA virale, sono stati osservati in abbondanza nelle cellule fetali che rivestono il villo coriale (sinciziotrofoblasto) e che sono a contatto diretto con il sangue materno.
Questo dato e' stato poi confermato dalla microscopia elettronica, che ha permesso di identificare particelle virali anche in cellule endoteliali dei capillari del villo e - fatto mai osservato prima e prova definitiva della trasmissione verticale - in globuli bianchi fetali circolanti all'interno dei capillari".
"Gli effetti e le conseguenze del Coronavirus sulle donne in gravidanza e sui neonati sono poco conosciuti, ma la crescente segnalazione di casi di madri affette da Covid-19, i cui neonati hanno presentato segni di infezione precoce dopo la nascita, hanno indicato che la trasmissione di SARS-Cov-2 da madre a figlio e' un evento possibile - dichiara il professor Fabio Facchetti - I risultati del nostro studio dimostrano per la prima volta che la trasmissione verticale dell'infezione SARS-CoV-2 e' possibile, seppur rara, e che essa si verifica mediante il passaggio del virus da cellule circolanti materne ai villi coriali della placenta. Un reperto del tutto inatteso e' stato il riscontro di una reazione infiammatoria placentare limitatamente al versante materno, mentre, nonostante l'infezione, la componente fetale (villo coriale) ne e' stata risparmiata, un fenomeno 'protettivo' che puo' essere dipeso dall'attivazione di molecole inibitorie dell'infiammazione osservata in diverse componenti del villo stesso. È ragionevole pensare che il ridotto danno dei villi abbia garantito un sufficiente scambio nutritizio tra madre e feto, limitando i danni del feto stesso".
"Sebbene sia noto che l'infezione da Coronavirus colpisca prevalentemente i polmoni e che siano i meccanismi infiammatori da essa scatenati i principali responsabili dei danni all'organo, nel caso della placenta, invece, lo studio ha osservato come l'evoluzione clinica sia stata decisamente positiva, con una rapida guarigione sia della madre che del bambino. Questo aspetto ha indotto i ricercatori a considerare che nel tessuto placentare la reazione infiammatoria possa avere delle caratteristiche peculiari, come di fatto e' poi emerso dalle loro analisi", concludono.
- CORONAVIRUS, DRIVE-IN TEST COVID-19 AL PARCHEGGIO DELL' AEROPORTO DI FIUMICINO
E' attivo da oggi, 1 settembre, il nuovo drive-in della Regione Lazio per eseguire i tamponi rapidi antigenici Covid-19 presso il parcheggio Lunga Sosta dell’Aeroporto “Leonardo da Vinci".
La struttura, realizzata in un'area di circa 7.000 metri quadri messa a disposizione da Aeroporti di Roma riconvertendo in 72 ore una porzione del parcheggio Lunga Sosta, sarà gestita dalle Autorità Sanitarie della Regione Lazio e presidiata da personale medico e paramedico della Croce Rossa Italiana.
Come nel caso del presidio sanitario in funzione dal 16 agosto scorso presso il Terminal 3 Arrivi, anche questa struttura è stata realizzata a tempo di record grazie alla efficace collaborazione tra Regione Lazio, Usmaf, Istituto Spallanzani, Croce Rossa Italiana e AdR.
La struttura, la più grande del Lazio, disporrà di sei checkpoint sanitari per il prelievo dei campioni e potrà accogliere fino a 130 autovetture; sarà inoltre dotata di servizi igienici e sarà disponibile un servizio di ristorazione. Il drive-in resterà aperto sette giorni su sette con ampia copertura oraria.
La nuova area dedicata ai test rapidi, accessibile a chiunque, è facilmente raggiungibile dall’autostrada Roma-Fiumicino grazie anche ad una segnaletica stradale dedicata.
Inoltre, Aeroporti di Roma informa i propri passeggeri, in arrivo o partenza dallo scalo di Fiumicino che intendano usufruire del servizio, che è a disposizione un servizio di navette da e per l’aerostazione: il collegamento sarà potenziato nelle ore serali, per agevolare l’uso del drive-in anche ai passeggeri in arrivo dai Paesi attualmente sottoposti al controllo che non dovessero riuscire ad effettuare i test nella struttura operante presso il Terminal 3 Arrivi.
“Lavoriamo per la messa in sicurezza di Roma e dell’intero Paese nel contrasto alla diffusione del COVID-19. Un lavoro straordinario da parte dei nostri operatori sanitari e della Croce Rossa Italiana” ha dichiarato il Presidente, Nicola Zingaretti.
“La Regione è impegnata in prima linea nel contrasto alla diffusione del virus e mette in campo un notevole potenziamento della capacità di controllo già attiva nella Regione. Più si garantisce la sicurezza e più riparte l’economia. Lo scalo di Fiumicino è un motore importante per l’economia del Paese” afferma Alessio D’Amato, Assessore alla Sanità.
“Riteniamo doveroso, ora come sin dall’avvio dell’emergenza sanitaria, garantire il massimo supporto al fianco della Regione, del Governo e della nostra comunità. La rapida realizzazione di un drive-in di notevoli dimensioni in aeroporto non solo testimonia coscienza e impegno nel mettere in campo tutto quanto possibile per fronteggiare con determinazione l’emergenza Covid-19 ma, in prospettiva, guarda anche alla possibilità di offrire a tutti i nostri passeggeri un’opportunità in più per gestire in modo semplice e rapido le attività di controllo del contagio” dichiara Marco Troncone, Amministratore Delegato di Aeroporti di Roma.
- Coronavirus, anche la malattia epatica può aumentare il rischio di Covid-19 grave. Congresso #ILC2020 #EASL
Una nuova sessione al Digital International Liver Congress™ 2020 si è interrogata sulle ultime evidenze nelle manifestazioni multiorgano da COVID-19, sui fattori di rischio per malattie gravi e su come una malattia epatica preesistente possa influenzare il decorso clinico della SARS-CoV-2.
Oltre ai fattori di rischio ormai consolidati (età, sesso maschile e comorbidità come malattie cardiovascolari e obesità), anche la malattia epatica cronica può aumentare il rischio di COVID-19 grave. Lo conferma i dati dei registri COVID-Hep e SECURE-cirrosi hanno supportato questo, mostrando un aumento graduale dei tassi di esiti avversi maggiori, inclusa la morte, con l'aumento della gravità della malattia epatica. Per i pazienti con cirrosi scompensata, i numeri sono chiari: 79% di mortalità tra Child-Pugh C (punteggio per valutare la prognosi della malattia epatica cronica, principalmente cirrosi ndr) una volta ricoverato in unità di terapia intensiva (ICU) e mortalità del 90% una volta somministrata la ventilazione invasiva in questa popolazione.
COVID-19 ha avuto un profondo impatto nel contesto del trapianto di fegato, con un brusco calo dell'attività di trapianto in coincidenza con la pandemia, che ha richiesto la modifica dei programmi di trapianto, la ridefinizione delle priorità dei candidati al trapianto, la rivalutazione del rischio su base quasi quotidiana, e potenziale interruzione temporanea del trapianto nelle aree in cui il virus è prevalente.
Il messaggio chiave per i pazienti è che, sebbene coloro che hanno subito un trapianto di fegato siano a maggior rischio di infezione da COVID-19, la gravità della malattia sembra essere in linea con quella della popolazione generale. Le linee guida inoltre sconsigliano ampiamente la riduzione della terapia immunosoppressiva, poiché non è stato dimostrato che questo aumenti il ??rischio.
Info news ILC EASL: http://www.salutedomani.com/categ/gastroenterologia
- Sintomi e segni da post-Covid, la risposta infiammatoria esagerata contro il coronavirus. Nei bimbi la Sindrome infiammatoria multisistemica (Mis-C)
"Stiamo vedendo dei quadri legati" al coronavirus Sars-CoV-2. "Ed è chiaro che ci sono preoccupazioni su quale sarà il lascito post Covid. Penso a chi continua ad avere problemi polmonari, causati dal danno infiammatorio una volta guarito, ai lunghi strascichi che si stanno osservando in alcuni pazienti.
E una delle preoccupazioni più grandi è quella che riguarda i bambini un po' più grandi, che peraltro ho l'impressione non abbia ricevuto tanta attenzione: abbiamo davanti una nuova malattia che ha un nome, si chiama Multisystem Inflammatory Syndrome in Children (Mis-C)", è associata all'esposizione a Sars-CoV-2 "e ora è meglio definita". A fare il punto con l'Adnkronos Salute è l'immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano) e docente di Humanitas University.
"La premessa è doverosa e va ripetuta continuamente: sappiamo davvero poco di Covid-19. Io so di non sapere. Nella storia naturale di un medico 'anziano' come me, succede qualche volta di confrontarsi con una malattia nuova e Covid-19 lo è. Siamo davanti a una sindrome nuova di cui non si capisce il perché, se non che è coinvolta una risposta infiammatoria", spiega Mantovani, fra gli scienziati italiani più citati al mondo. Quello che si comincia a vedere da un po' di tempo sono casi di persone ormai negative che fanno i conti per lungo tempo con problematiche di vario genere, come se non fossero mai guarite: stanchezza, difficoltà respiratorie, perdita di capelli.
"Non sappiamo perché succede - puntualizza Mantovani - ma al riguardo si può avere un sospetto. E' ragionevole pensare che può succedere qualcosa che ha a che fare con quello che abbiamo definito tono infiammatorio. E' qualcosa che non si manifesta come la febbre e che si vede associato a tante situazioni cliniche diverse: è come se venisse cambiato il reostato del nostro tono infiammatorio di base, come se si fosse alzata la 'temperatura' di base. E' possibile, dato che la componente infiammatoria in Covid-19 è così dominante, che stia succedendo questo".
Quello dell'infiammazione è uno dei temi che Mantovani tratta nel suo ultimo libro, 'Il fuoco interiore', edito da Mondadori. "Succede che è come se lo stato infiammatorio si alzasse, può capitare per esempio in una situazione di obesità, quando si invecchia non bene", elenca l'immunologo. "Di questo aspetto del tono infiammatorio sotteso a manifestazioni cliniche molto diverse abbiamo discusso fra diversi esperti in un position paper pubblicato su 'Nature Medicine'. Quelle che possiamo dire comunque è che l'infiammazione è una metanarrazione della medicina contemporanea. Attraversa diverse patologie", continua Mantovani.
"Il fatto che ci sia una prova formale che è avvenuta una re-infezione" con il coronavirus Sars-CoV-2 "non equivale a dire che la persona che si è contagiata due volte si è riammalata". "Oggi sappiamo molto di più dell'immunità" al nuovo coronavirus, "ma è ancora troppo poco", sottolinea lo scienziato.
"Abbiamo sempre detto - ricorda - che chi si ammalava non si riammala, adesso abbiamo un caso documentato di re-infezione in cui però la persona, da quello che ho letto sulla rivista scientifica che ha pubblicato il caso ('Clinical Infectious Diseases'), non ha sviluppato malattia", come ha confermato anche un noto virologo dell'università di Hong Kong, Malik Peiris, non fra gli autori dello studio sulla re-infezione ma informato sul caso. "Quindi - prosegue Mantovani - possiamo guardare come sempre al bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Se la persona non si è riammalata, è ragionevole pensare che il suo sistema immunitario stia facendo il lavoro necessario".
L'esperto spiega inoltre che a Hong Kong hanno una forte tradizione di ricerca su questo fronte e Peiris "è stato uno dei pionieri nello studio del virus della Sars, quindi sa di cosa sta parlando. Se leggiamo bene il dato che emerge da quel lavoro il soggetto non si è ammalato una seconda volta - precisa Mantovani - ma si è reinfettato col virus". Rari casi, ha puntualizzato anche l'Organizzazione mondiale della sanità, ma "questo sottolinea di nuovo quanto ancora non sappiamo".
Per quanto riguarda i più piccoli, ha colpito nei mesi scorsi il quadro individuato da pediatri inglesi, e osservato anche da camici bianchi di Bergamo, una delle città fra le più colpite da Covid-19 nella fase più dura dell'emergenza. I britannici lo avevano definito 'simil Kawasaki'. "Qualche settimana fa sono usciti un paio di lavori e un editoriale sulla rivista 'New England Journal of Medicine'. Direi che ormai sta diventando chiaro che Covid possa lasciare dei brutti ricordi. In che misura, quando, in che soggetti, e così via, sono tutte domande a cui non abbiamo ancora una risposta certa.
Sono comunque quadri legati a una risposta infiammatoria fuori controllo. E la preoccupazione che io esprimo per le problematiche rilevate in alcuni bambini è perché ho sentito più di una persona dire che per fortuna questa malattia li risparmia. Non è sempre così".
Certo, puntualizza l'immunologo, "gli anticorpi" anti Sars-CoV-2 "sono solo la punta dell'iceberg della risposta immunitaria. C'è infatti una risposta di prima linea, che è l'immunità innata, e che di solito nel 90% delle volte che incontriamo un 'nemico' risolve i problemi, senza che ce ne accorgiamo. La maggior parte delle specie viventi ha solo quello come difesa. Poi ci sono i direttori dell'orchestra immunologica, che sono le cellule T e sono quelle che hanno la memoria immunologica. Il cuore di questa memoria è qui. E poi noi vediamo i 'missili anti Covid', ma sono solo una delle manifestazioni".
"Dati del Karolinska Institutet" svedese "dimostrano che ci sono molti soggetti che non hanno gli anticorpi, ma hanno la risposta delle cellule T, che sono una sorta di centrale operativa", osserva Mantovani. "Tornando al caso di Hong Kong - conclude - ci fa riflettere sul fatto che non sappiamo quanto dura la memoria dopo l'infezione" da Sars-CoV-2, non sappiamo neanche quanto dura dopo il vaccino. Del resto il follow up più lungo è di 56 giorni, lo sottolineano anche gli autori delle analisi sul vaccino di Oxford. E' tutto da scoprire".
- Supporto ai pazienti con malattie epatiche e trapianto di fegato in epoca coronavirus Covid-19 #EASL #ILC2020
La pandemia COVID-19 ha portato notevoli sfide ai pazienti affetti da malattie del fegato in tutto il mondo, in particolare quelli che assumono farmaci immunosoppressori. Le persone in attesa o che convivono con un trapianto di fegato affrontano molti rischi, poiché i servizi di trapianto sono rallentati o addirittura sospesi.
Inizialmente, l'età, l'ipertensione, le malattie polmonari e le malattie cardiovascolari erano tra i fattori di rischio per COVID-19 grave, ma la ricerca ora indica che alcuni gruppi di pazienti con patologie epatiche sono anche a maggior rischio di sviluppare un decorso più grave di COVID-19.
Per affrontare le numerose domande, l'EASL e tutta la comunità di esperti stanno esplorando il modo migliore per gestire queste sfide e trattare i pazienti colpiti, creando risorse adeguate per medici e pazienti. Sono stati pubblicati due position papers, che affrontano queste domande e forniscono raccomandazioni: "Impatto del COVID-19 sulla cura dei pazienti con malattia epatica: il documento di sintesi EASL-ESCMID dopo 6 mesi di pandemia" è stato pubblicato nell'agosto 2020, che funge da seguito al documento di posizione originale EASL-ESCMID, pubblicato nell'aprile 2020 (insieme denominato documenti di posizione EASL-ESCMID - entrambi sono stati pubblicati nella rivista EASL ad accesso libero, JHEP Reports).
Il registro COVID-Hep, supportato da EASL è stato lanciato nel marzo 2020 presso l'Università di Oxford, nel Regno Unito. Serve per raccogliere dati su pazienti con malattia epatica in qualsiasi fase o trapianti di fegato, che hanno sviluppato COVID-19, confermato in laboratorio. Ad oggi, il registro ha raccolto più di 1.200 richieste e ha pubblicato importanti risultati, che hanno aiutato i medici a comprendere meglio il rischio individuale per i pazienti, con diverse forme e stadi di malattie del fegato, se fossero stati infettati da SARS-CoV-2.
"Gli sforzi fino ad oggi includono pubblicazioni di ricerca ad accesso aperto che esplorano le esigenze particolari e le raccomandazioni di trattamento per questi pazienti, supportando la creazione di un registro per raccogliere dati sul fegato e sui pazienti COVID-19, organizzando webinar anche con partner internazionali come l'Organizzazione mondiale della sanità e creando risorse laiche per servire le organizzazioni e le comunità di pazienti ", ha affermato il Prof. Phil Newsome, Segretario generale dell'EASL e Direttore del Centro per la ricerca sul fegato e gastrointestinale e Professore di epatologia presso l'Università di Birmingham, Regno Unito. A sei mesi dall'inizio della pandemia, nell'agosto 2020, è stato pubblicato il secondo documento di posizione EASL-ESCMID, per rivalutare il panorama dell'epatologia. Fornisce un quadro più chiaro sull'evoluzione del virus, su come colpisce il fegato e sui pazienti trapiantati e su chi è più a rischio.
Gli autori sottolineano che l'enfasi deve spostarsi da un focus precedente sui pazienti immunosoppressi o che vivono con malattie del fegato autoimmuni al mantenimento della cura di tutti i pazienti, sia nei servizi ambulatoriali che negli ospedali, e alla ricerca di gruppi specifici a rischio più elevato.
Mentre i pazienti con malattia epatica non sembrano essere a maggior rischio di contrarre SARS-CoV-2, quei pazienti con steatosi epatica non alcolica (NAFLD), obesità e cirrosi sembrano avere esiti peggiori. Inoltre ai pazienti con malattia epatica autoimmune ed epatite virale cronica si consiglia di continuare con i loro specifici trattamenti.
“Ora che abbiamo un quadro molto più chiaro sui fattori di rischio correlati al fegato per COVID-19 grave, possiamo determinare meglio chi necessita di maggiore attenzione, una volta infettato. Dobbiamo anche garantire che la pandemia non avrà un impatto negativo a lungo termine sulla qualità della cura del paziente epatico ", ha affermato il Prof. Thomas Berg, Vice Segretario Generale dell'EASL e Capo della Divisione di Epatologia, Dipartimento di Medicina II, Centro medico dell'università di Lipsia, Germania.
"Le raccomandazioni iniziali del Position Paper rimangono valide, come promuovere la telemedicina in ambito ambulatoriale, dare la priorità ai contatti ambulatoriali ed evitare la diffusione nosocomiale del virus ai pazienti e agli operatori sanitari, pur mantenendo cure standard per i pazienti che richiedono cure mediche immediate. "
"I medici e le loro istituzioni dovrebbero sforzarsi di riprendere lo standard di cura per i pazienti con malattie epatiche- ha aggiunto l'autore principale e membro del comitato scientifico dell'EASL, il dott. Tobias Boettler, Dipartimento di Gastroenterologia, Epatologia, Endocrinologia e Malattie Infettive University Hospital Freiburg, Germania- Ove possibile, ciò dovrebbe includere l'adozione di tecnologie e metodi innovativi sviluppati durante la pandemia, come la telemedicina e il monitoraggio remoto".
È stata lanciata un'iniziativa congiunta sull'impatto del COVID-19 sul trapianto di fegato , insieme a un prossimo sondaggio incentrato sul suo impatto sul numero di candidati in lista di attesa e sul numero di pazienti trapiantati. Questa iniziativa congiunta si svolge tra l'EASL, la Società europea per i trapianti di organi (ESOT), la sua divisione di ESOT, l'Associazione europea dei trapianti di fegato e intestino (ELITA) e la Società internazionale di trapianti di fegato (ILTS).
EASL sta rendendo le informazioni su COVID-19 e sul fegato prontamente disponibili anche per i pazienti. Il Position Paper EASL-ESCMID è stato adattato per comunicare informazioni complesse su COVID-19 e per fornire supporto ai pazienti e alle loro associazioni. Due pubblicazioni, una sintesi laica e un kit di strumenti per le organizzazioni di pazienti epatici , sono state scritte come una collaborazione tra organizzazioni di pazienti, gruppi consultivi e membri del consiglio dell'EASL. Gli autori includono la signora Martine Walmsley, membro del comitato per la politica e la salute pubblica dell'EASL.
"Le organizzazioni di pazienti si trovano ad affrontare la sfida di dover comunicare rapidamente informazioni complesse sul COVID-19 ai malati e di sostenere le loro esigenze sanitarie in un clima in rapido cambiamento, ma non tutte hanno le risorse per farlo", ha affermato la signora Walmsley, presidente del consiglio di amministrazione del Supporto PSC (per pazienti con colangite sclerosante primaria) ed ella stessa paziente PSC.
- Blood clots and lung injuries found in patients who have died of coronavirus COVID-19
A new post-mortem study of patients who have died from COVID-19 found severe damage to the lungs and signs of blood clotting in major organs.
Ten post-mortem examinations performed on patients with confirmed COVID-19 found that all patients had lung injuries and early scarring of the lungs as a result of the virus, as well as injury to their kidneys. Nine patients also had thrombosis – a blood clot- in at least one major organ (heart, lung or kidney). The team were unable to investigate thrombosis in the tenth patient.
The research team behind the study believe that the findings could help guide clinicians on treating complications as a result of COVID-19, such as using blood thinners to prevent blood clots from developing. They also hope that better understanding of the key complications in severe cases could help clinicians develop new ways to monitor and treat the disease.
The study, published in The Lancet Microbe, was led by researchers at Imperial College London and Imperial College Healthcare NHS Trust. Although the numbers of patients examined is small, this is the largest study to date of post-mortem examinations on COVID-19 patients in England.
Dr Michael Osborn, Honorary Clinical Senior Lecturer at Imperial College London, Consultant Pathologist at Imperial College Healthcare NHS Trust and co-author of the study, said:
“COVID-19 is a new disease and we have only had limited opportunities to comprehensively analyse tissues from patients at autopsy, to better understand what caused a patient’s illness and death for research purposes. Our study is the first of its kind in the country to support existing theories from researchers and doctors on the wards that lung injuries, thrombosis and immune cell depletion are the most prominent features in severe cases of COVID-19. In the patients we looked at, we also saw evidence of kidney injuries and in some cases pancreatitis and these with our other findings will help clinicians develop new strategies to manage patients.
“Autopsy based analysis of COVID-19 for research is vital to learn more of this disease as the pandemic develops. We are extremely grateful to those who consented to this research and appreciate the advancement of medical science their generosity will bring.
As a result of our work, we have worked with colleagues at the Royal College of Pathologists to produce national guidelines for autopsies in COVID-19 patients and in anticipation of a possible second wave of cases we have put systems in place to rapidly facilitate further studies in the future and so further our understanding on the nature and cause of the disease, which we hope would lead to more effective treatments and fewer deaths.”
Dr Brian Hanley, from the Department of Cellular Pathology at Imperial College Healthcare NHS Trust and co-author of the study, added:
“The UK has sadly had a large number of deaths related to COVID-19. The search for effective treatments will rely on an understanding of how the disease affects the body. The post-mortem examination is vital in this respect. The findings in this study support research from other autopsy groups worldwide and in the UK that describe the structural damage to organs caused by COVID-19. It also documents several unexpected complications. This increased understanding of COVID-19 can help clinical teams with the management of severe cases and also to monitor and treat further complications as a result of the disease.”
During the lockdown period researchers nationally had very limited opportunities to carry out post mortem examinations for research purposes on patients who died from the disease. The team wanted to see whether they can glean new insights on how the virus infects the cells of the body by studying tissue samples from patients who died as a result of severe COVID-19.
The team performed full post-mortem examinations and biopsies on ten patients aged 22-97 at Imperial College Healthcare NHS Trust hospitals during March-June. Full consent for post mortem with widespread tissue sampling and use of the tissue for research was sought from the relatives and friends of the deceased in line with national protocols. Seven of the patients were men and four were women. Six of the patients were from a BAME background and four patients were white.
In the patients studied, high blood pressure and chronic obstructive pulmonary disease - the name for a group of lung conditions that cause breathing difficulties – were the most common contributing factors to death. All patients developed a fever and had at least two respiratory symptoms such as cough and shortness of breath during the early stages of the disease. Most patients died within three weeks of presenting with symptoms and treatments varied across the cohort.
The study team also reported six main findings:
- All patients had diffuse alveolar damage (DAD). DAD is a term used to describe a pattern of lung injury which can be seen as a result of viral infection. This type of lung injury can affect both gas exchange (oxygen and carbon dioxide) and blood flood in the lungs.
- All patients fully assessed Nine of the ten patients had some form of thrombosis- blood clot – in at least one major organ (it was not possible to investigate thrombosis in the tenth patient). Thrombosis prevents blood from flowing normally through the circulatory system and can lead to strokes and heart attacks. The researchers found thrombi in the lungs of eight patients, the heart of five patients and the kidneys of four patients. They believe that this supports the theory that COVID-19 causes circulatory complications and that patient treatment could be augmented with blood thinning medication to prevent blood clots
- All patients had evidence of acute renal tubular injury – a kidney injury that can lead to kidney failure or damage. The main causes are low blood flow to the kidneys and severe infections. It often affects patients who are in hospital and intensive care units
- T-Lymphocyte Depletion (TLD) in the spleen and the lymph nodes was another consistent finding. T-lymphocytes (white blood cells) are a major component of the immune system and play a role in destroying infections. TLD is a reduction in T-lymphocytes, which alters the immune system and its response. Haemophagocytosis is another consistent finding in this group, which occurs when the immune system overreacts to an infection and destroys some of its own cells
- The researchers found evidence of acute pancreatitis in two of the patients. Acute pancreatitis is a condition where the pancreas becomes inflamed. It can be treated with fluids into the veins but in some cases can develop into serious complications and cause organ failure. Damage to the pancreas in COVID-19 patients has not been reported before but it is not clear in this study whether the pancreatitis was related to COVID-19 infection or other causes
- The researchers also found evidence of a rare fungal infection, in one of the patients, called Mucormycosis. Mucormycosis is an infection that may spread through the bloodstream to affect another part of the body. Severe infections can involve the lungs, brain and other organs including the kidneys, spleen and heart
The team is working with a range of research groups both nationally and internationally to perform more detailed analyses of these tissues and is hoping that this research will expand to include a wider range of patients.
The study was funded by NIHR Imperial College Biomedical Research Centre (BRC).
- 1000 notizie sul coronavirus Covid-19, pubblicate su Salutedomani e SaluteH24
Raggiunti e superati, i 1000 articoli sui portali Salutedomani e SaluteH24, a cui si aggiungono le notizie in lingua inglese nella sezione dedicata. Tutti sempre rigorosamente gratis e con la possibilità di abbonamento gratuito tramite newsletter quotidiana nella propria casella postale e tramite il canale Telegram, direttamente sullo smartphone in tempo reale.
Un lungo lavoro, iniziato con le prime notizie dalla Cina e che si sperava restasse confinato e risolto in Asia e in tempi brevi. Purtroppo tutti conosciamo in prima persona l'eveluzione della pandemia e i segnali d'allarme che ancora arrivano quotidianamente.
La speranza è che nel volgere di pochi mesi, anche per l'arrivo di vaccini sicuri ed efficaci, si possa parlar sempre meno di questa malattia, perchè è stata superata e vinta, anche se le conseguenze sociali ed economiche dureranno ben più della malattia. Nel frattempo continueremo a fornire tutte le notizie anche in questo periodo di 'ferie' in un'estate strana di un tempo sospeso.
- Coronavirus, il Consiglio federale adotta il messaggio sulla legge COVID-19
In occasione della seduta del 12 agosto 2020 il Consiglio federale ha preso atto dei risultati della procedura di consultazione sulla legge COVID-19 e adottato il messaggio concernente il disegno di legge.
Con il disegno propone al Parlamento di istituire le basi legali, che gli permettano di mantenere l’attuale pacchetto di provvedimenti.
Dal 13 marzo 2020 il Consiglio federale ha emanato diverse ordinanze volte a combattere l’epidemia di COVID-19. Affinché le ordinanze, fondate direttamente sull’articolo 185 capoverso 3 della Costituzione federale, non perdano automaticamente effetto dopo sei mesi, il Consiglio federale deve presentare tempestivamente al Parlamento un messaggio sulle basi legali di tali ordinanze. Il 19 giugno 2020 ha pertanto indetto la procedura di consultazione sull’avamprogetto di legge COVID-19, che permette di istituire le basi legali per proseguire e adeguare i provvedimenti ancora necessari. La consultazione è terminata il 10 luglio 2020.
Nell’ambito della consultazione sulla legge COVID-19 sono pervenuti oltre 1000 pareri. Nel complesso i Cantoni giudicano il progetto positivamente. Il PVL, i Verdi e l’UDF nonché il PPD e il PEV approvano il progetto, in parte con riserve. Il PLR, il PS e l’UDC lo respingono nella sua forma attuale. La grande maggioranza delle associazioni e organizzazioni di diversi settori si dice favorevole. Per il resto, la parte più consistente dei pareri è stata presentata da privati che si esprimono in modo critico o respingono il progetto.
Oggi il Consiglio federale ha preso atto dei risultati della consultazione e adottato il messaggio concernente la legge COVID-19.
Il disegno di legge federale, da dichiararsi urgente, comprende complessivamente 14 articoli. Esso stabilisce le competenze del Consiglio federale per fronteggiare l’epidemia di COVID-19, in particolare per contenere le ripercussioni sulla società, l’economia e le autorità. La legge contempla l’approvvigionamento sanitario, la protezione dei lavoratori, il settore degli stranieri e dell’asilo, l’indennizzo delle perdite di salario e l’assicurazione contro la disoccupazione; prevede misure in ambito giudiziario e in materia di diritto procedurale, societario e d’insolvenza; istituisce inoltre le basi legali per provvedimenti nel settore della cultura e dei media.
Sulla base dei riscontri della consultazione è stato segnatamente sancito il coinvolgimento ge-neralizzato e vincolante dei Cantoni prima di ordinare i provvedimenti della Confederazione (art. 1 cpv. 3) e sono state rielaborate completamente le disposizioni riguardanti l’approvvigionamento sanitario, la protezione dei lavoratori e il settore culturale. Inoltre, la legge avrà effetto soltanto fino al 31 dicembre 2021, anziché fino alla fine del 2022. La durata di validità fino al 31 dicembre 2022 è prevista unicamente nell’ambito dell’assicurazione contro la disoccupazione.
Il Consiglio federale ha licenziato già oggi il messaggio affinché il Parlamento abbia la possibilità di adottare la legge e porla urgentemente in vigore durante la sessione autunnale.
- New IHME coronavirus COVID-19 Forecasts See Nearly 300,000 Deaths by December 1
America’s COVID-19 death toll is expected to reach nearly 300,000 by December 1; however, consistent mask-wearing beginning today could save about 70,000 lives, according to new data from the Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) at the University of Washington’s School of Medicine.
The US forecast totals 295,011 deaths by December. As of today, when, thus far, 158,000 have died, IHME is projecting approximately 137,000 more deaths. However, starting today, if 95% of the people in the US were to wear masks when leaving their homes, that total number would decrease to 228,271 deaths, a drop of 49%. And more than 66,000 lives would be saved.
Masks and other protective measures against transmission of the virus are essential to staying COVID-free, but people’s inconsistent use of those measures is a serious problem, said IHME Director Dr. Christopher Murray.
“We’re seeing a rollercoaster in the United States,” Murray said. “It appears that people are wearing masks and socially distancing more frequently as infections increase, then after a while as infections drop, people let their guard down and stop taking these measures to protect themselves and others – which, of course, leads to more infections. And the potentially deadly cycle starts over again.”
Murray noted that there appear to be fewer transmissions of the virus in Arizona, California, Florida, and Texas, but deaths are rising and will continue to rise for the next week or two. The drop in infections appears to be driven by the combination of local mandates for mask use, bar and restaurant closures, and more responsible behavior by the public.
“The public’s behavior had a direct correlation to the transmission of the virus and, in turn, the numbers of deaths,” Murray said. “Such efforts to act more cautiously and responsibly will be an important aspect of COVID-19 forecasting and the up-and-down patterns in individual states throughout the coming months and into next year.”
Murray said that based on cases, hospitalizations, and deaths, several states are seeing increases in the transmission of COVID-19, including Colorado, Idaho, Kansas, Kentucky, Mississippi, Missouri, Ohio, Oklahoma, Oregon, and Virginia.
“These states may experience increasing cases for several weeks and then may see a response toward more responsible behavior,” Murray said.
In addition, since July 15, several states have added mask mandates. IHME’s statistical analysis suggests that mandates with no penalties increase mask wearing by 8 percentage points. But mandates with penalties increase mask wearing by 15 percentage points.
“These efforts, along with media coverage and public information efforts by state and local health agencies and others, have led to an increase in the US rate of mask wearing by about 5 percentage points since mid-July,” Murray said.
Mask-wearing increases have been larger in states with larger epidemics, he said.
IHME’s model assumes that states will reimpose a series of mandates, including non-essential business closures and stay-at-home orders, when the daily death rate reaches 8 per million. This threshold is based on data regarding when states and/or communities imposed mandates in March and April, and implies that many states will have to reimpose mandates.
As a result, the model suggests which states will need to reimpose mandates and when:
- August – Arizona, Florida, Mississippi, and South Carolina
- September – Georgia and Texas
- October – Colorado, Kansas, Louisiana, Missouri, Nevada, North Carolina, and Oregon.
- November – Alabama, Arkansas, California, Iowa, New Mexico, Oklahoma, Utah, Washington, and Wisconsin.
However, if mask use is increased to 95%, the re-imposition of stricter mandates could be delayed 6 to 8 weeks on average.
The model also assumes that that 50% of school districts in each state will opt for online instruction only for the 2020–2021 school year.
“As data emerge on actual school patterns, we will incorporate them into our future revisions of forecasts,” Murray said. “We recognize that, given mask wearing, the likely restrictions on after-school activities, and the potential for some parents to avoid engaging in school-related functions, our estimated impact of school openings may be overly pessimistic.”
- Vaccino anti coronavirus Covid-19, la Confederazione Svizzera firma un contratto con l’ azienda Moderna
Nel mondo sono molti gli istituiti di ricerca che lavorano allo sviluppo di un vaccino contro il nuovo coronavirus. Tra i leader del settore c’è l’impresa statunitense di biotecnologia Moderna Therapeutics. Per garantire un accesso rapido al vaccino di Moderna in Svizzera, la Confederazione ha stipulato un contratto per l’acquisto di 4,5 milioni di dosi e al contempo è in contatto con altre aziende produttrici di vaccini.
La Confederazione intende garantire alla popolazione svizzera un accesso rapido a un vaccino anti-COVID-19 sicuro ed efficace. Al contempo, la Svizzera sostiene progetti multilaterali volti ad assicurare una distribuzione equa del futuro vaccino.
Finora nessun Paese al mondo ha messo in commercio un vaccino; lo sviluppo e la ricerca avanzano però alacremente.
La Confederazione ha stipulato un contratto con l’azienda Moderna, il cui progetto di vaccino è già ben avanzato. Se il vaccino supererà il test clinico e sarà omologato in Svizzera, il nostro Paese riceverà 4,5 milioni di dosi. Visto che dovrebbero essere necessarie due dosi, potranno essere vaccinate 2,25 milioni di persone.
La Svizzera è tra i primi Paesi ad avere stipulato un contratto con l’impresa Moderna.
Il vaccino mRNA di Moderna si avvale di una nuova tecnologia: l’mRNA è un tipo di molecola con funzione di messaggero, che trasporta le informazioni necessarie alla produzione di proteine; indica alle cellule dell’organismo come produrre la proteina del virus. Non appena viene prodotta dall’organismo, la proteina è riconosciuta come antigene dal sistema immunitario, che produce quindi anticorpi contro il virus per preparare l’organismo alla lotta contro il virus vero e proprio.
Altri progetti di vaccino in corso di valutazione
Non si può ancora stabilire con certezza quali aziende o quali vaccini avranno infine la meglio e saranno a disposizione della popolazione svizzera. La Confederazione opta quindi per una procedura diversificata al fine di aumentare le possibilità di ottenere un accesso rapido e sicuro a un vaccino. Pertanto, parallelamente alla stipula del contratto con Moderna, l’UFSP è in contatto con altre aziende produttrici di vaccini. Il Consiglio federale ha stanziato in totale 300 milioni di franchi per l’acquisto del vaccino.
Si presuppone che, in un primo tempo, non si disporrà di dosi sufficienti a una copertura su vasta scala dell’intera popolazione svizzera. La strategia di vaccinazione terrà conto delle attuali conoscenze scientifiche, in stretta collaborazione con la Commissione federale per le vaccinazioni (CFV).
- SANITA' SARDEGNA, VIA LIBERA PER RETE EMERGENZA ANTI CORONAVIRUS COVID-19
Via libera dal ministero della Salute al piano di riorganizzazione della rete ospedaliera sarda per l'emergenza Covid, varato in via definitiva dalla Regione Sardegna il 9 luglio.
Il piano potra' ora entrare nella fase operativa, con la realizzazione delle opere infrastrutturali nei presidi e l'implementazione delle attrezzature, dei mezzi e del personale. Lo fa sapere in una nota l'ufficio stampa della giunta regionale. Soddisfatto il governatore, Christian Solinas: "La risposta del governo e' una ulteriore conferma della bonta' del nostro lavoro e delle misure adottate dalla Regione per far fronte all'epidemia, garantendo la sicurezza dei cittadini e dei turisti. È un piano che potenzia l'assistenza sanitaria ospedaliera sul territorio e rafforza il modello organizzativo adottato per rispondere alla pandemia durante la fase piu' critica. La Sardegna e' in grado di fronteggiare qualsiasi emergenza".
Il piano avra' una dotazione di 42 milioni di euro, che serviranno per l'acquisto di attrezzature e la realizzazione dei lavori strutturali. La Regione ha inoltre provveduto, con proprie risorse, all'implementazione dei mezzi disponibili per il trasporti dei pazienti tra le strutture ospedaliere e per le dimissioni protette. È prevista una dotazione di 12 milioni di euro per il reclutamento del personale da dedicare ai reparti di terapia intensiva, semintensiva e ordinaria, ai pronto soccorso e ai trasporti secondari.
Nel dettaglio, nei presidi ospedalieri dell'isola gia' predisposti alla gestione dei casi covid nelle precedenti fasi dell'emergenza sanitaria -Santissima Trinita' di Cagliari, San Francesco di Nuoro e cliniche San Pietro dell'Aou di Sassari, a cui si aggiungono gli ospedali San Martino di Oristano e Santa Barbara di Iglesias- saranno attivati 101 nuovi posti letto di terapia intensiva, di cui sei di terapia intensiva pediatrica, e 115 posti letto di terapia subintensiva, attraverso la riconversione di posti letto gia' attivi. Il 50% di questi ultimi, inoltre, sara' allestito in modo da essere, all'occorrenza, immediatamente convertibile in terapia intensiva. "La bassa circolazione virale nell'isola- spiega l'assessore regionale alla Sanita', Mario Nieddu- non deve farci abbassare la guardia. Il piano individua interventi e risorse importanti per potenziare la capacita' d'assistenza del nostro sistema sanitario e garantire maggiore sicurezza, attraverso, ad esempio, la rimodulazione dei percorsi nei pronto soccorso. In particolare, per il Santa Barbara di Iglesias, prevediamo importanti interventi strutturali che consentiranno di rispondere all'esigenza di rilanciare un presidio in cui abbiamo individuato dodici posti letto in terapia intensiva e otto di subintensiva, di cui quattro convertibili in terapia intensiva all'occorrenza".
Individuati nel piano, inoltre, 112 posti letto di area medica, di cui 18 da dedicare ai pazienti pediatrici,per la gestione dei pazienti che necessitano di assistenza a bassa complessita' o nella fase riabilitativa post-acuta, e stabilisce la riorganizzazione e ristrutturazione dei pronto soccorso, con l'obiettivo di separare i percorsi e creare aree di permanenza dei pazienti in attesa di diagnosi che garantiscano i criteri di sicurezza anti-contagio. Indicati anche gli spazi attrezzabili con le strutture mobili nelle aree di sosta dell'ospedale San Francesco di Nuoro e delle Cliniche Universitarie dell'Aou Sassari.
- ANSIA E DEPRESSIONE NEI PAZIENTI POST CORONAVIRUS COVID-19
Uno studio pubblicato oggi sulla rivista scientifica Brain, Behavior and Immunity e coordinato dal professor Francesco Benedetti, psichiatra e Group leader dell’Unità di ricerca in Psichiatria e psicobiologia clinica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, ha descritto e riportato per la prima volta al mondo le conseguenze di COVID-19 a livello psichiatrico, con patologie quali disturbo post traumatico da stress, ansia, insonnia e depressione.
Lo studio è stato condotto su 402 pazienti nell’ambito dell’ambulatorio di follow-up (FU) post COVID-19 che il San Raffaele ha attivato lo scorso maggio. Si tratta di un percorso di controlli di circa 6 mesi per i malati Covid-19 dimessi dalla struttura, che prevede visite con équipe multidisciplinari composte da medici internisti, infettivologi, neurologi, psichiatri, nefrologi e cardiologi. «È apparso chiaro da subito che l’infiammazione causata dalla malattia potesse avere ripercussioni anche a livello psichiatrico. Infatti, gli stati infiammatori – anche in conseguenza a infezioni virali – possono costituire dei fattori di rischio per diverse patologie, in particolare la depressione» afferma il professor Benedetti.
Lo studio del San Raffaele
Sulla base di interviste cliniche e questionari di auto-valutazione, sono stati esaminati i sintomi psichiatrici di 402 pazienti (265 uomini e 137 donne) con COVID-19 a un mese di follow-up dopo il trattamento ospedaliero. Di questi circa 300 erano stati ricoverati presso il San Raffaele e 100 erano stati seguiti al proprio domicilio.
I medici hanno riscontrato nel 28% dei casi il disturbo post-traumatico da stress, nel 31% la depressione, nel 42% dei pazienti l’ansia e nel 40% l’insonnia, e infine nel 20% una sintomatologia ossessivo-compulsiva. Nel complesso, il 56% delle persone ha manifestato almeno uno di questi disturbi, proporzionalmente alla gravità dell’infiammazione durante la malattia.
I pazienti con una precedente diagnosi psichiatrica sono peggiorati e, tra chi non ne era mai stato affetto, in particolare sono le donne ad aver sofferto di più per l’ansia e la depressione, nonostante la minore gravità dell’infezione. «Questo conferma quello che già sapevamo, ossia la maggior predisposizione della donna a poter sviluppare disturbi della sfera ansioso-depressiva, e ci conduce a ipotizzare che questa maggiore vulnerabilità possa essere dovuta anche al diverso funzionamento del sistema immunitario nelle sue componenti innate ed adattive» commenta Benedetti.
Inoltre, nei pazienti ricoverati in ospedale sono state riscontrate ripercussioni dal punto di vista psichiatrico meno gravi rispetto ai pazienti ambulatoriali. Da qui, il ruolo e l’importanza del supporto sanitario nel diminuire l’isolamento sociale e la solitudine tipiche della pandemia. In generale, infatti, le conseguenze psichiatriche da COVID-19 possono essere causate sia dalla risposta immunitaria al virus stesso, sia da fattori di stress psicologicocome l’isolamento sociale, la preoccupazione di infettare gli altri e lo stigma.
L’importanza della ricerca sugli effetti a lungo termine
«Questo studio è solo il primo di molti altri che si propongono di indagare l’impatto psicopatologico di COVID-19. Il prossimo obiettivo è approfondire laricerca sui bio-marcatori dell’infiammazione per diagnosticare condizioni patologiche emergenti e monitorarle nel tempo. Infatti, grazie alla creazione di una bio-banca fin dai primi giorni dell’epidemia, abbiamo oggi a disposizione informazioni cliniche e materiale biologico dei pazienti ricoverati e trattati nel nostro ospedale» conclude Francesco Benedetti.
***************************************************************************************
“Anxiety and depression in COVID-19 survivors: role of inflammation and clinical predictors”– Brain, Behavior and Immunity (2020)
Mario Gennaro Mazza¹², Rebecca De Lorenzo²³, Caterina Conte²³, Sara Poletti¹², Benedetta Vai¹² , Irene Bollettini¹², Elisa Maria Teresa Melloni¹², Roberto Furlan²?, Fabio Ciceri²³, Patrizia Rovere-Querini²³ and the COVID-19 BioB Outpatient Clinic Study group, Francesco Benedetti¹²,
¹ Psychiatry & Clinical Psychobiology, Division of Neuroscience, IRCCS Scientific Institute Ospedale San Raffaele, Milano.
² Vita-Salute San Raffaele University, Milano, Italy
³ Division of Immunology, transplantation and Infectious Diseases, IRCCS San Raffaele Scientific Institute, Milan, Italy
? Clinical Neuroimmunology, Division of Neuroscience, IRCCS Scientific Institute Ospedale San Raffaele, Milano.
- SAN GALLICANO, CORONAVIRUS COVID-19 RIDUCE LE DIAGNOSI DI INFEZIONI A TRASMISSIONE SESSUALE
L’emergenza sanitaria da nuovo Coronavirus ha influenzato in modo significativo l’epidemiologia delle Malattie a Trasmissione Sessuale (MST) e in particolare della sifilide. A dimostrarlo è un lavoro osservazionale appena pubblicato su Sexually Trasmitted Infections dal gruppo del Centro MST/HIV dell’Istituto San Gallicano (IRCCS) diretto da Alessandra Latini.
“Dall'inizio del lockdown – spiega Latini - abbiamo osservato una drastica riduzione delle diagnosi di infezioni a trasmissione sessuale, in particolare della sifilide.”
Il dato è in netto contrasto con il trend di aumento del numero di casi di sifilide registrato negli ultimi due anni, soprattutto nel periodo immediatamente precedente all'isolamento, e in particolare tra gli uomini che hanno rapporti sessuali con uomini e le persone che vivono con l'HIV.
Aldo Morrone, Direttore Scientifico del San Gallicano sottolinea che: “I servizi di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie infettive a trasmissione sessuale, rimangono sempre aperti, gratuiti e “in sicurezza”, per garantire la continuità assistenziale a questa tipologia di pazienti fragili”.
Tra il 1° gennaio 2020 e il 9 marzo 2020, nel Centro di MST del San Gallicano sono stati diagnosticati 68 nuovi casi di sifilide, mentre nel primo trimestre del 2019 il numero di diagnosi di sifilide è stato di 25. Rispetto al primo trimestre dello scorso anno, nel primo trimestre 2020 le diagnosi di sifilide sono raddoppiate nelle persone che vivono con l'HIV , e addirittura quadruplicate tra gli uomini che hanno rapporti sessuali con uomini “Si è trattato –evidenzia Alessandra Latini - di un risultato coerente con le tendenze epidemiologiche evidenziate dalla letteratura, che segnalavano un aumento dell’infezione negli ultimi anni.”
“Tuttavia - sottolinea Antonio Cristaudo, Direttore della Unità di Dermatologia Clinica - - tutte le diagnosi relative al mese di marzo sono state effettuate prima del lockdown, e nessun caso è stato più osservato dopo il 9 marzo. E’ probabile che la paura di infezione da SARS-CoV-2 abbia ridotto i rapporti sessuali, conducendo a un vero e proprio declino delle infezioni ad essi correlati.”
Non si può escludere, inoltre, che i pazienti abbiano rinviato le visite a causa dei timori legati all’accesso in ospedale durante la pandemia, e che sia anche questa la causa di diminuzione di diagnosi, come è accaduto per altre patologie.
“E’ indispensabile – conclude Latini - incoraggiare i pazienti a cercare assistenza nei casi in cui sospettino una malattia a trasmissione sessuale. Il nostro Centro non ha mai sospeso le attività.”
- Coronavirus, la luce in fondo al tunnel. Progetto ResPOnsE Covid-19
Siamo esattamente a sei mesi dalla individuazione dei primi due casi di Covid-19 in Italia (due turisti cinesi allo Spallanzani di Roma, 30 gennaio 2020). Da quel momento la vita di tutti gli italiani è cambiata radicalmente. Con tutta probabilità, quando finalmente avremo superato l’emergenza sanitaria, niente sarà più come prima.
La pandemia ha innescato un processo di cambiamento sociale rapidissimo che ha influenzato i comportamenti quotidiani, le opinioni e i giudizi dei cittadini italiani.
Come ha risposto la società italiana alla sfida del Coronavirus? E come gli italiani hanno vissuto questi mesi di emergenza, passando da un lockdown totale al tentativo di tornare ad una nuova normalità? A queste domande fornisce una risposta il rapporto finale del progetto di ricerca ResPOnsE Covid-19, che si pone l’obiettivo di sviluppare una infrastruttura di ricerca per il monitoraggio quotidiano dell’opinione pubblica durante l’emergenza Covid-19.
L’indagine è coordinata dal Prof. Cristiano Vezzoni e a cura del SPS TREND Lab, presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università Statale di Milano.
Il rapporto completo è disponibile online alla pagina:
https://spstrend.unimi.it/it/contenuti-it/la-luce-in-fondo-al-tunnel-tra-riduzione-dei-contagi-e-timori-per-l%E2%80%99economia-i-dati-del-quinto-rapporto-response.html
I PUNTI SALIENTI DELL’INDAGINE
- Se dal punto di vista sanitario i segnali sono incoraggianti, il quadro economico rimane critico. La riduzione della percezione del rischio di contagio non attenua i timori sulle conseguenze economiche della crisi.
- La pandemia del Coronavirus si impone come esperienza collettiva che non risparmia nessun settore e nessun territorio del paese, al pari delle guerre mondiali, della crisi del 1929 o della caduta del muro di Berlino.
- Il paese continua a vivere una situazione di estrema incertezza che colpisce soprattutto i settori più vulnerabili della società italiana (donne, lavoratori precari, territori meno sviluppati economicamente).
- Dopo oltre 100 giorni dall’inizio del lockdown, torna una certa normalità nelle attività fuori dalle mura domestiche.
- Questo rappresenta un segnale positivo, ma è necessario non abbassare la guardia e continuare a seguire le principali misure di prevenzione della diffusione del virus perché il rischio di una ripresa della pandemia esiste e i recenti fatti in diversi paesi, europei e non, ce lo dimostrano.
Comportamenti e adesione alle misure di contenimento del virus
- #iostoacasa ha funzionato: nelle prime fasi di lockdown gli italiani sono stati estremamente disciplinati, manifestando una alta adesione alle norme di contrasto alla diffusione del virus.
- Col passare delle settimane crescono sensibilmente le attività extra-domestiche.
- Purtroppo, le principali misure individuali di contrasto alla trasmissione del virus vengono seguite di meno.
- Si riduce il rispetto del distanziamento sociale, l’uso della mascherina e il lavaggio delle mani.
- Cresce anche l’insofferenza verso la limitazione delle libertà individuali (movimento, incontro e privacy).
- Il ritorno alla normalità è un segnale positivo, ma abbassare la guardia potrebbe rappresentare un rischio per il riesplodere di focolai e il riacutizzarsi della pandemia nel nostro paese.
Giudizio sulle misure prese dal governo
- Il giudizio sulle misure anti-coronavirus prese dal governo rimane positivo; meno positivo invece il giudizio sulle misure economiche.
- Cosa dovrebbe fare ora il governo? Gli italiani dopo aver chiesto un allentamento del confinamento, da maggio sono tornati a chiedere il mantenimento (45%) o addirittura un inasprimento (25%) delle misure anti-coronavirus.
- Gli italiani mantengono una opinione equilibrata su quale debba essere la priorità del governo, con una posizione intermedia tra salvaguardia della salute pubblica e rilancio dell’economia nazionale.
Percezione del rischio per la salute, il lavoro e l’economia
- Col il miglioramento della situazione sanitaria, si riduce la percezione del rischio di contagio.
- Tuttavia, se si considerano i rischi per il proprio lavoro o per la situazione economica della propria famiglia, la percezione di incertezza e timore è diffusa in tutto il paese, da nord a sud.
La fiducia nelle istituzioni
- La fiducia degli italiani nel Parlamento nazionale rimane bassa e addirittura diminuisce durante il corso della crisi.
- Cresce invece la fiducia nell’Unione Europea. La sua immagine migliora agli occhi dei cittadini italiani.
- Dopo l’esito positivo delle trattative sul recovery fund, che ha visto il nostro paese come uno dei maggiori beneficiari degli aiuti comunitari, l’Unione Europea può rappresentare un punto di riferimento per la ripartenza.
Esperienza di crisi collettiva
- Il Coronavirus non ha risparmiato nessuno: la pandemia si impone come esperienza di crisi collettiva.
- La maggioranza degli italiani ha sentito direttamente la vicinanza fisica del virus: molti conoscono persone che sono morte, sono state ricoverate o messe in quarantena a causa del Covid-19.
- Anche il giudizio sull’economia nazionale è estremamente pessimistico e generalizzato: 4 italiani su 5 ritengono che la situazione dell’economia sia peggiorata dall’inizio della pandemia.
ResPOnsE Covid-19
Il progetto ResPOnsE Covid-19, coordinato dal Prof. Cristiano Vezzoni e a cura del SPS TREND Lab, presso il dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università Statale di Milano, rileva comportamenti, opinioni e benessere dei cittadini italiani durante la crisi mediante 150 interviste al giorno che permettono di seguire puntualmente i principali trend, svolte in collaborazione con SWG. L’analisi permette anche un confronto approfondito tra le diverse aree del paese.
Il periodo di copertura dell’indagine andrà da aprile a luglio 2020, includendo la fase di contrasto alla diffusione del Coronavirus e la successiva fase di contenimento del contagio.
Il progetto si pone come strumento di ricerca scientifica e di supporto alle attività di policy makingrivolte alla definizione di interventi efficaci per il superamento dell’emergenza.
Il progetto di ricerca ResPOnsE Covid-19 proseguirà con indagini settimanali fino a luglio.
Tutti i materiali disponibili al sito: https://spstrend.unimi.it/it/
- Coronavirus COVID-19 lockdown caused 50% global reduction in human-linked Earth vibrations
The lack of human activity during lockdown caused human-linked vibrations in the Earth to drop by an average of 50% between March and May 2020.
This quiet period, likely caused by the total global effect of social distancing measures, closure of services and industry, and drops in tourism and travel, is the longest and most pronounced quiet period of seismic noise in recorded history.
The new research, led by the Royal Observatory of Belgium and five other institutions around the world including Imperial College London, showed that the dampening of ‘seismic noise’ caused by humans was more pronounced in more densely populated areas.
The relative quietness allowed researchers to listen in to previously concealed earthquake signals, and could help us differentiate between human and natural seismic noise more clearly than ever before.
Co-author Dr Stephen Hicks, from Imperial’s Department of Earth Science and Engineering, said: “This quiet period is likely the longest and largest dampening of human-caused seismic noise since we started monitoring the Earth in detail using vast monitoring networks of seismometers.
“Our study uniquely highlights just how much human activities impact the solid Earth, and could let us see more clearly than ever what differentiates human and natural noise.”
The paper is published today in Science.
Anthropause
Measured by instruments called seismometers, seismic noise is caused by vibrations within the Earth, which travel like waves. The waves can be triggered by earthquakes, volcanoes, and bombs - but also by daily human activity like travel and industry.
Although 2020 has not seen a reduction in earthquakes, the drop in human-caused seismic noise is unprecedented. The strongest drops were found in urban areas, but the study also found signatures of the lockdown on sensors buried hundreds of metres underground and in more remote areas.
Human-generated noise usually dampens during quiet periods like over the Christmas/New Year period and Chinese New Year, and during weekends and overnight. However, the drop in vibrations caused by COVID-19 lockdown measures eclipse even those seen during these periods.
Some researchers are dubbing this drop in anthropogenic (human-caused) noise and pollution the ‘anthropause’.
Dr Hicks said: “This is the first global study of the impact of the coronavirus anthropause on the solid Earth beneath our feet.”
To gather the data, researchers looked at seismic data from a global network of 268 seismic stations in 117 countries and found significant noise reductions compared to before any lockdown at 185 of those stations. Beginning in China in late January 2020, and followed by Europe and the rest of the world in March to April 2020, researchers tracked the ‘wave’ of quietening between March and May as worldwide lockdown measures took hold.
The largest drops in vibrations were seen in the most densely populated areas, like Singapore and New York City, but drops were also seen in remote areas like Germany’s Black Forest and Rundu in Namibia.
Citizen-owned seismometers, which tend to measure more localised noise, noted large drops around universities and schools around Cornwall, UK and Boston, USA – a drop in noise 20 per cent larger than seen during school holidays.
Countries like Barbados, where lockdown coincided with the tourist season, saw a 50 per cent decrease in noise. This coincided with flight data that suggested tourists returned home in the weeks before official lockdown.
Listening in
Over the past few decades, seismic noise has gradually increased as economies and populations have grown.
The drastic changes to daily life caused by the pandemic have provided a unique opportunity to study their environmental impacts, such as reductions in emissions and pollution in the atmosphere. The changes have also given us the opportunity to listen in to the Earth’s natural vibrations without the distortions of human input.
The study reports the first evidence that previously concealed earthquake signals, especially during daytime, appeared much clearer on seismometers in urban areas during lockdown.
The researchers say the lockdown quietening could also help them differentiate between human-caused noise and natural signals that might warn of upcoming natural disasters.
Lead author Dr Thomas Lecocq from the Royal Observatory of Belgium said: "With increasing urbanisation and growing global populations, more people will be living in geologically hazardous areas. It will therefore become more important than ever to differentiate between natural and human-caused noise so that we can ‘listen in’ and better monitor the ground movements beneath our feet. This study could help to kick-start this new field of study.”
The study’s authors hope that their work will spawn further research on the seismic lockdown, as well as finding previously hidden signals from earthquakes and volcanoes.
Dr Hicks said: “The lockdowns caused by the coronavirus pandemic may have given us a glimmer of insight into how human and natural noise interact within the Earth. We hope this insight will spawn new studies that help us listen better to the Earth and understand natural signals we would otherwise have missed.”
- Coronavirus, nuovo responsabile per la «Swiss National COVID-19 Science Task Force»
La Confederazione intende avvalersi del parere scientifico di esperti indipendenti del panorama universitario e della ricerca anche durante la «situazione particolare» prevista dalla legge sulle epidemie.
La Segreteria generale del Dipartimento federale dell’interno (DFI) e l’Ufficio federale della sanità pubblica hanno pertanto adeguato il mandato della «Swiss National COVID-19 Science Task Force» (SN-STF), istituita durante la «situazione straordinaria». Dal 1° agosto 2020 la task force sarà peraltro guidata dal prof. Martin Ackermann, esperto in microbiologia al Politecnico di Zurigo e all’Istituto di ricerca sulle acque (Eawag).
Il prof. Ackermann subentra al prof. Matthias Egger, che pur rimanendo attivo come esperto della SN-STF, tornerà a concentrarsi sulla sua carica di presidente del Consiglio nazionale della ricerca del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS) e di docente di epidemiologia all’Università di Berna.
Nel contesto della pandemia di COVID-19, a fine marzo 2020 lo stato maggiore di crisi del Consiglio federale (KSBC), l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) e la Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI) hanno istituito l’organo scientifico consultivo «Swiss National COVID-19 Science Task Force» (SN-STF). Ora che si è conclusa la fase della «situazione straordinaria» e che è stato sciolto il KSBC, è venuta a mancare la base originaria della SN-STF.
L’UFSP continuerà a svolgere i compiti sanciti dalla legge sulle epidemie nel quadro della «situazione particolare», tra cui figurano tra l’altro il coordinamento interdipartimentale e il ricorso a perizie scientifiche. Di conseguenza il DFI e l’UFSP hanno adeguato il mandato quadro conferito alla «Swiss National COVID-19 Science Task Force» allo scopo di garantire una consulenza scientifica indipendente da parte degli esperti coinvolti nella SN-STF.
A partire dal 1° agosto 2020 la SN-STF sarà inoltre guidata dal prof. Martin Ackermann, esperto in microbiologia al Politecnico di Zurigo e all’Istituto di ricerca sulle acque (Eawag) e in precedenza vice-presidente dell’organo consultivo che coordina i lavori della task force. Quest’ultima continuerà ad annoverare esperti indipendenti del panorama universitario e della ricerca, nelle discipline pertinenti.
Il Consiglio federale esprime profonda gratitudine alla «Swiss National COVID-19 Science Task Force» e in particolare al suo responsabile uscente per i servizi resi. In futuro il prof. Matthias Egger rimarrà un esperto della task force, ma tornerà a concentrarsi sulla sua carica di presidente del Consiglio nazionale della ricerca del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS) e di docente all’Università di Berna. Sotto la sua guida, negli scorsi tre mesi la task force composta da oltre una sessantina di esperti ha risposto in chiave scientifica alle domande delle autorità con più di una quarantina di «policy briefs».
Grazie a questo impegno volontario e gratuito la task force ha fornito un considerevole supporto allo stato maggiore di crisi del Consiglio federale nel processo decisionale COVID-19.
Sulla base di questo nuovo mandato la task force continuerà a predisporre le basi scientifiche per poter controllare e risolvere la situazione COVID-19 in Svizzera.
- Vaccino coronavirus Covid-19, un aiuto da 40 anni di ricerca per l' HIV
La pandemia di COVID-19 sta causando molte incertezze in tutto il mondo, anche per le persone che convivono e sono affette dall'HIV. L'importanza della ricerca sui vaccini per entrambe le malattie non può esser sottovalutata.
Come con l'HIV, il modo migliore per sconfiggere la pandemia da coronavirus è attraverso un vaccino e un aiuto può arrivare proprio guardando cosa è successo in 40 anni di ricerche per l'HIV in questo ambito. SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, ha sorpreso il mondo, proprio come l'HIV negli anni '80. Tuttavia, a differenza dell'HIV, il mondo si è unito e ha dimostrato che in tempi record è possibile una risposta coordinata e globale a una pandemia. Molti aspetti di questa risposta, inclusa la ricerca di un vaccino, si basano su tecnologie e insegnamenti tratti dalle recenti epidemie, incluso l'HIV.
Attualmente ci sono oltre 120 candidati al vaccino COVID-19 in fase di sviluppo , il 90% dei quali si trova nella fase preclinica. Le lezioni apprese dalle epidemie di SARS e MERS hanno informato sulla progettazione di molti dei candidati. Gli studi sono anche fortemente influenzati dalle conoscenze acquisite dalla ricerca sui vaccini contro l'HIV, la quale afferma che diversi fattori - quanto spesso emergono nuovi ceppi, la forza dell'infezione e i tipi di risposte immunitarie - sono fondamentali per la progettazione di un vaccino di successo.
La velocità con cui è stato isolato il virus SARS-CoV-2 (alcuni giorni) e decodificato il genoma virale (alcune settimane) è senza precedenti e davvero notevole. In confronto, ci sono voluti più di due anni per isolare il virus, che ha causato l'AIDS. Questa volta si è beneficiato della conoscenza accumulata in decenni di risposta globale all'HIV: diversi team coinvolti nella ricerca sui vaccini per l'HIV sono stati in grado di decodificare prontamente il genoma virale, identificando i componenti chiave da utilizzare nella progettazione di un vaccino COVID-19.
Inoltre lo spirito di collaborazione, che si è sviluppato non ha precedenti. Gli approcci allo sviluppo del vaccino includono strategie comprovate, come l'uso di ceppi di virus indeboliti (che non era applicabile per l'HIV) e componenti del vaccino che beneficiano di anni di sviluppo Altre piattaforme comuni includono DNA e MVA, che sono stati ampiamente utilizzati per la ricerca e lo sviluppo di vaccini per l'HIV e che ora vengono riproposti per COVID-19.
Anni di ricerche cliniche, condotte da leader del settore e accademici forniscono i dati di sicurezza necessari per accelerarne l'uso per la ricerca sull'uomo. Nuovi approcci basati su diverse tecnologie, come i vaccini a base di mRNA, che sono stati in stadi preclinici per l'HIV, sono anche in fase di sperimentazione per COVID-19. Alcune di queste nuove tecnologie hanno consentito il rapido sviluppo di vaccini candidati a una frazione del costo e del tempo di processi più tradizionali, a poche settimane dalla ricezione della sequenza dalla Cina e se avranno successo, potrebbero essere riproposti per lo sviluppo di un vaccino contro l'HIV.
La ricerca e sviluppo sulla prevenzione dell'HIV ha portato alla creazione di diversi network di studi clinici. La risposta all'HIV ha contribuito notevolmente allo svolgimento della ricerca etica e ha guidato lo sviluppo delle Linee guida per le buone pratiche partecipative (GPP) . Un vaccino COVID-19 sicuro ed efficace sarà solo l'inizio. Le questioni legate alla produzione su larga scala, alla distribuzione e all'accesso apriranno una nuova area di discussione, ma anche qui 40 anni di risposta all'HIV possono aiutare a contrastare lo stigma e l'accesso, nonché superare le disuguaglianze.
- "I sacerdoti come i medici, accanto ai malati di coronavirus Covid”. Anelli premiato, a nome di tutti i medici italiani, dall’ Arcivescovo di Bari
I sacerdoti come i medici, prossimi ai pazienti di Covid-19 per alleviare le loro sofferenze, corporali e spirituali, sino a offrire la loro stessa vita. Ad accomunare, ancora una volta, coloro che Papa Francesco ha definito ‘i Santi della porta accanto’ è stato, ieri sera, il Presidente della FNOMCeO, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli.
Lo ha fatto a Noicattaro (Ba), in occasione della festa patronale di Santa Maria del Carmine, ricevendo dalle mani di Monsignor Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, una targa commemorativa. Targa che, richiamando il monito del Siracide a onorare il medico, vuole essere un ringraziamento per ‘lo zelo, l’abnegazione e la dedizione di tutti i medici italiani’ nei mesi difficili della pandemia e una preghiera alla Beata Vergine del Carmelo per ‘coloro che, nell’esercizio della professione medica, hanno sacrificato la loro vita’.
Nel ringraziare l’Arcivescovo, il Parroco, Don Giuseppe Bozzi e il presidente del Comitato Festa patronale, Marino Santamaria, Anelli ha espresso gratitudine a tutto il clero, a tutti i sacerdoti “che, insieme con i medici, si sono dedicati con passione agli altri, sono stati accanto ai malati e ai morenti, offrendo tante vite umane”.
“Tanti sacerdoti sono caduti, sono deceduti nel corso del loro Ministero – ha ricordato – in questi terribili mesi, soprattutto nelle zone più colpite dal virus”.
Sono infatti oltre 120 i sacerdoti che, in Italia, hanno perso la vita nel corso dell’epidemia di Covid-19. Così come 173 sono i medici. Una comunanza di destini che nasce, secondo Anelli, da una contiguità di valori e di obiettivi.
“Credo che vada riconosciuta alla Professione medica una peculiarità – ha affermato Anelli – : il fatto che il medico non è soltanto definito dalle sue competenze, dalle sue abilità, ma dai suoi valori. Il medico trasforma così la sua conoscenza – che è un patrimonio immenso, ma anche un grande potere – in qualcosa di diverso perché la orienta al bene. Lo aveva già intuito Ippocrate nel 400 avanti Cristo, quando aveva condizionato questo potere che deriva dalla conoscenza al bene. Il medico è dunque colui che non solo ha le competenze, ma che consacra tutta la propria vita al bene”.
“E allora, in questa società, credo che vada riconosciuto, sottolineato questo aspetto – ha concluso -. Quando i giovani medici giurano, tante volte si è pensato che quello fosse come un rituale, un retaggio del passato. Invece, e lo si è visto con tanta evidenza in questo contesto, quel Giuramento è diventato il motore della Professione. Ne è diventato l’anima, perché quel Giuramento richiama i valori, i principi a cui i medici consacrano la loro attività. Anima che si è concretizzata in questa triste vicenda, dove ben 173 medici hanno perso la vita, insieme a infermieri, farmacisti, ostetrici. A loro va il nostro ricordo, la nostra riconoscenza. Un grazie a tutto il clero di Bari per averli ricordati.
- ISTAT-ISS, in 9 casi su 10 coronavirus COVID-19 e' la causa direttamente responsabile del decesso
Covid-19 è la causa direttamente responsabile della morte nell'89% dei decessi di persone positive al test Sars-CoV-2, mentre per il restante 11% le cause di decesso sono le malattie cardiovascolari (4,6%), i tumori (2,4%), le patologie del sistema respiratorio (1%), il diabete (0,6%), le demenze e le malattie dell'apparato digerente (rispettivamente 0,6% e 0,5%).
Sono i dati del rapporto Impatto dell’epidemia COVID-19 sulla mortalità: cause di morte nei deceduti positivi a SARS-COV2 realizzato dall’ISTAT e dall’Istituto Superiore di Sanità dopo aver analizzato le informazioni riportate dai medici in 4.942 schede di morte, di soggetti diagnosticati microbiologicamente con test positivo al SARS-CoV-2.
La quota di deceduti in cui COVID-19 è la causa direttamente responsabile della morte varia in base all’età, raggiungendo il valore massimo del 92% nella classe 60-69 anni e il minimo (82%) nelle persone di età inferiore ai 50 anni.
COVID-19 è una malattia che può rivelarsi fatale anche in assenza di concause. Non ci sono infatti concause di morte preesistenti a COVID-19 nel 28,2% dei decessi analizzati, percentuale simile nei due sessi e nelle diverse classi di età.
Le complicanze di COVID-19 che portano al decesso sono principalmente la polmonite (79% dei casi) e l’insufficienza respiratoria (55%). Altre complicanze meno frequenti sono lo shock (6%), la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) ed edema polmonare (6%), le complicanze cardiache (3%), la sepsi e le infezioni non specificate (3%).
Leggi tutti i dati del Rapporto
- Effetti dell' infiammazione da infezione da coronavirus Covid19. Ricerca Cardio-COV
foto: Struttura tridimensionale costituita da cellule stromali cardiache umane coltivate in vitro
Per comprendere i meccanismi alla base dei danni cardiaci collegati al COVID-19 il Centro Cardiologico Monzino, con la collaborazione dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma e dell’azienda di ricerca biomedica innovativa React4life, ha ottenuto dalla Regione Lombardia un finanziamento di 513.000 euro per un progetto di ricerca semestrale dal titolo “Effetti dell’infezione da COVID-19 sull’infiammazione e la fibrosi cardiaca. Modellizzazione in vitro: Cardio-COV”.
Fin dal principio della pandemia, l’infezione causata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2 si è dimostrata capace di causare conseguenze non solo a livello respiratorio, ma anche a livello cardiaco, con complicanze come aritmie e scompenso, persistenti anche dopo la guarigione. Al momento non è chiaro se queste conseguenze siano da imputare direttamente al virus o all’effetto della cosiddetta “tempesta citochinica", causata dall’aumento molto marcato di fattori infiammatori circolanti. Quindi si sa che il virus danneggia il cuore, ma non si conoscono i meccanismi molecolari che creano questo danno, e per questo al momento non si dispone di farmaci mirati in grado di garantire una cardioprotezione più efficace.
Il progetto Cardio-Cov (finanziato nell’ambito del bando “Programma Operativo Regionale 2014-2020”, Linea 2A) si propone di far luce su questi meccanismi esaminando l’interazione tra il nuovo Coronavirus e le cellule stromali del cuore, un tipo cellulare coinvolto nella risposta infiammatoria e fibrotica.
«Già nei primi dati provenienti dalla Cina a fine Febbraio, si evidenziava la presenza di problemi cardiovascolari rilevanti nei pazienti colpiti da COVID-19 - spiega Maurizio Pesce, Responsabile dell’Unità di Ricerca in Ingegneria tissutale cardiovascolare del Monzino e coordinatore del progetto - Abbiamo quindi ipotizzato che il danno sistemico causato dall’infezione potesse colpire direttamente il cuore mediante l’ interazione del virus con le cellule cardiache, oppure attraverso un meccanismo indotto dall’aumento delle citochine infiammatorie circolanti. Di supporto a questa ipotesi vi è l’evidenza che una delle vie più importanti con le quali il virus entra nelle cellule dell’ospite, il recettore ACE2, è presente sulle cellule stromali cardiache e che proprio queste cellule sono protagoniste nella risposta paracrino/infiammatoria alla base della fibrosi e dello scompenso cardiaco».
Cardio-COV si avvarrà di metodiche virologiche classiche e tecnologie innovative di ingegnerizzazione tissutale, grazie alle quali sarà possibile verificare direttamente gli effetti dell’infezione, e/o l’attivazione dei meccanismi infiammatori nel miocardio. Essendo queste tecnologie a disposizione dei Partner particolarmente adatte per studiare l’effetto di farmaci in condizioni altamente controllate e riproducibili, con il progetto Cardio-Cov sarà possibile valutare l’efficacia di composti farmacologici cardioprotettivi specifici per COVID-19. Quest’ultimo risultato sarà molto utile per identificare terapie in grado di ridurre il rischio di miocarditi, shock cardiogenico, infiammazione o fibrosi cardiaca, correlato all’infezione da SARS-CoV-2.
Partendo dal Know-how del Monzino, che dispone di esperienza per l’analisi delle cellule stromali cardiache ed il loro potenziale infiammatorio e fibrotico, il progetto analizzerà la riposta in-vitro all’esposizione al SARS-CoV-2 utilizzando campioni di virus messi a disposizione dall’Istituto Nazionale Malattie infettive (INMI) “Lazzaro Spallanzani”, che è stato tra i primi al mondo ad isolare il virus SARS-CoV-2. Lo studio si avvarrà inoltre di una tecnologia all’avanguardia, messa a punto da React4life, la tecnologia brevettata MIVO (Multi In Vitro Organ) che consente di ospitare e coltivare in condizioni fluido-dinamiche sterili cellule, tessuti 2D o 3D, o biopsie di pazienti, riproducendo invitro una condizione fisiologica vicina a quella reale del paziente, senza bisogno di sperimentazione su animali.
«Le prove che stiamo effettuando all’INMI - continua Alessandra Amendola, Dirigente biologo del laboratorio di Virologia dell’INMI - hanno lo scopo di approfondire la relazione, non ancora chiara, fra SARS-CoV-2 e cellule del cuore. In particolare, stiamo verificando la suscettibilità delle cellule stromali cardiache all’infezione da SARS-CoV-2 attraverso infezioni in-vitro con l’isolato virale in nostro possesso. Dai risultati che otterremo, potremo capire se lo stroma cardiaco possa essere considerato un reservoir, cioè una fonte di produzione virale nei pazienti COVID-19. Inoltre, speriamo di chiarire se i danni cardiaci osservati in molti, ma non tutti i pazienti COVID-19, siano un effetto diretto dell’interazione del virus con le cellule del cuore o se invece rappresentino un fenomeno più o meno correlato ad una potente risposta immunitaria, a sua volta conseguenza di altre caratteristiche specifiche dei pazienti che, fino ad oggi, non sono state ancora individuate».
Il progetto prevede l’utilizzo della tecnologia brevettata MIVO, un sistema fluidico multicamera che è il traguardo di anni di ricerca del team di React4life e un esempio di innovazione tecnologica italiana nel settore biotech. Come dichiara Silvia Scaglione, Co founder e CSO di React4life, «MIVO consente di agevolare e accelerare la ricerca scientifica dei ricercatori coinvolti nel drug discovery & development, in qualsiasi settore della frontiera medica. La nostra mission è di fornire soluzioni tecnologiche innovative a supporto della scienza, a beneficio dei pazienti».
«Il punto di forza di Cardio-Cov è che, grazie alla tecnologia e alle competenze impiegate, otterrà risultati immediatamente applicabili nel campo delle terapie farmacologiche cardioprotettive- conclude Pesce – Il che significa, in termini concreti che, anche in caso di una seconda ondata epidemica, avremo nuovi strumenti per proteggere il cuore e quindi ridurre la mortalità e i temibili effetti di COVID-19 sulla nostra salute».
- Tampone in 7 minuti e costo 12 euro. Annuncio anti coronavirus Covid-19 del presidente Zaia
Un tampone per il test da Covid 19 che dà il risultato in soli 7 minuti. E' quello presentato oggi dal presidente del Veneto Luca Zaia e dal dottore Roberto Rigoli dell'Ospedale di Treviso, nel corso del punto stampa alla sede della Protezione Civile di Marghera: "E' molto flessibile, viene dalla Corea l'errore rispetto a quello tradizionale è stato di uno su mille, e con questo tampone possiamo andare a 100 all'ora, ora ci stiamo muovendo presso il Ministero della Sanità per la sua validazione".
Un tampone dal costo di soli 12 euro, ha spiegato Rigoli.