Hai ricercato la parola "covid" per "parola chiave"
- COVID. STUDIO POLICLINICO BARI, MUSICOTERAPIA AIUTA PAZIENTI
- Covid. Fauci: Serve vaccino universale pan-SarsCoV-2. Due ricerche in corso
- COVID. ORDINANZA SOLINAS PROROGA VALIDITÀ TEST RAPIDI 'POSITIVI'
- Covid. Quarta dose vaccino? Bassetti, non e' l' amministratore delegato delle aziende a decidere la tempistica
- Covid. Prof. Andreoni: "Green pass? servito per imporre ad alcune persone la vaccinazione. Contagi oscilleranno tra 5mila e 100mila in alcuni mesi"
- Covid, aumentano i contagi ma non c'e' preoccupazione per i vaccinati
- Covid, niente stipendio senza Green pass. Ok dal Tar del Lazio
- NIH launches trial to study allergic reactions to COVID-19 mRNA vaccine
- VACCINI ANTI COVID. AIFA NE AUTORIZZA 5 MA NOVAVAX NON DECOLLA
- Ricerca Covid. mRna-1273.214, un vaccino anti variante Omicron di Moderna per la quarta dose
- PANDEMIA COVID, NEI GIOVANI AUMENTO CASI ANSIA E TENDENZE SUICIDE
- Trial per pillola antivirale Paxlovid* di Pfizer nei pazienti pediatrici a rischio progressione Covid grave
- Covid, c' è anche variante Omicron 3 ma i vaccini funzionano
- Vaccino anti Covid, Moderna rinuncia al brevetto in 92 Paesi
- COVID, CRITICHE RECIPROCHE TRA I PROTAGONISTI DELLA GESTIONE DELLA PANDEMIA IN ITALIA
- RICERCA, I GRUPPI SANGUIGNI CHE FACILITANO O CHE PROTEGGONO DAL COVID. SCREENING DI 3MILA PROTEINE
- COVID Italia. Bassetti, atteggiamento ideologico e non scientifico per divieti e restrizioni
- Vaccino anti Covid, il richiamo frena l' infezione per il 63% e la malattia severa per il 92%
- COVID. PALU' (AIFA), SARS-COV-2 NON SCOMPARE MA RESTA VIRUS STAGIONALE
- COVID. BRUSAFERRO (ISS), DECRESCITA DEI NUOVI CASI IN TUTTE LE REGIONI
- COVID. FARMACO ANTI HIV POTREBBE ESSERE EFFICACE CONTRO SARS-COV-2
- EMA, ok richiamo vaccino anti Covid Spikevax* di Moderna dopo 3 mesi
- Il paziente iperteso nel post-covid, il 50% con rischio cardiovascolare alto o molto alto. Studio Save your HEART
- FOCE, +72% DI RISCHIO DI SCOMPENSO CARDIACO NEI GUARITI DAL COVID
- COVID, MENO RICOVERI ANCHE PER I BAMBINI. MENO 21% IN UNA SETTIMANA
La musicoterapia produce effetti sui disturbi da stress, depressione e paura riscontrati nei pazienti affetti da Covid. È quanto dimostrato da uno studio condotto su 40 degenti dei reparti Covid della struttura per le maxi emergenze della Fiera del Levante gestiti dal Policlinico di Bari e pubblicato sulla rivista Scientific Report.
La musica riduce l'ansia e migliora i livelli di saturazione. I pazienti sono stati assegnati al gruppo di controllo o al gruppo di trattamento che hanno ricevuto una singola seduta individuale di musicoterapia recettiva in presenza. Tutti i gruppi sono stati sottoposti a identiche misurazioni (pre-durante-post) dei parametri su ansia, frequenza cardiaca, saturazione di ossigeno. Inoltre, ai partecipanti del gruppo sperimentale è stato chiesto di compilare una domanda aperta facoltativa sulla loro esperienza con la musicoterapia. È stata osservata una differenza significativa nei livelli di ansia tra i punteggi e nel gruppo di controllo valori statisticamente significativamente più elevati di ossigenazione. I risultati hanno dimostrato la fattibilità dell'introduzione della musicoterapia come intervento complementare/non farmacologico di supporto in ospedale nei pazienti affetti da Covid-19.
"L'ascolto guidato in musicoterapia ha offerto la possibilità ai pazienti di evadere, immaginare, rifletteree in qualche caso di ritrovare se stessi", spiega Filippo Giordano, che ha condotto la prima esperienza documentata in letteratura di musicoterapia. "Da qualche anno al Policlinico - aggiunge - cerchiamo di studiare e descrivere, attraverso un approccio olistico al paziente inteso come persona, gli effetti e le possibilità cliniche di utilizzo della musica e della musicoterapia come terapia complementare non farmacologica, in modo che questa disciplina possa trovare sempre più spazio e credibilità nell'ambito della medicina, e soprattutto possa produrre benefici su chi ne usufruisce".
Covid e nuove varianti, "non possiamo continuare a inseguirle". Lo ha sottolineato il virologo Anthony Fauci, direttore dell'Istituto nazionale Usa sulle allergie e le malattie infettive, in un video trasmesso durante il meeting 'Highlights in Immunology', promosso dall'Accademia nazionale dei Lincei e dall'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.
"Abbiamo bisogno urgente di un vaccino universale, sono necessari approcci innovativi per indurre protezione ampia e duratura contro i coronavirus, noti e sconosciuti". Fauci traccia la strada che porterà a un vaccino pan-coronavirus: "Ci arriveremo passo dopo passo: non avremo un vaccino universale al primo colpo, sarebbe troppo ambizioso, ma quello che possiamo fare è partire da un vaccino pan-SarsCoV-2 che protegga da tutte le varianti motivo di preoccupazione: Alfa, Beta, Gamma, Delta e Omicron".
"Il passo successivo - prosegue - sarà un vaccino pan-Sarbecovirus, che protegga non solo da SarsCov2, ma anche da SarsCoV1 e altri virus che possono evolvere in infezioni umane". Il virologo fa "un paio di esempi di vaccini pan-coronavirus allo studio ora: uno si basa sull'uso di nanoparticelle con frammenti di diverse proteine Spike, l'altro sulla somministrazione di Sars-CoV-2 e altri coronavirus inattivati attraverso uno spray nasale per dare un'ampia protezione contro beta-coronavirus umani e animali".
La variante covid Omicron 2 "sta diventando dominante, è ormai arrivata al 60% dei casi nel mondo", sottolinea Fauci. Omicron 2 "non è più severa di Omicron 1 - spiega Fauci - e l'infezione con quest'ultima variante sembra proteggere da Omicron 2. Entrambe però hanno eluso la protezione dei vaccini contro Covid-19, eccetto in caso di booster". "Era l'11 marzo del 2020 - ricorda il virologo - quando l'Oms ha dichiarato la pandemia di Covid-19. Da allora i casi si sono moltiplicati, raggiungendo il picco negli ultimi mesi. In totale, si sono registrati più di 445 milioni di casi e quasi 6 milioni di morti".
"L'Italia, insieme ad altri Paesi europei, ha fatto molto bene sulle vaccinazione contro Covid-19. Gli Stati Uniti non hanno fatto così bene, raggiungendo il 65% di popolazione vaccinata e il 75% di popolazione adulta" immunizzata, il plauso del virologo.
"A far data dal giorno di entrata in vigore della presente Ordinanza e fino al 31 marzo 2022, fatte salve ulteriori e/o diverse valutazioni sulla base dei dati epidemiologici a disposizione, un test antigenico positivo è ritenuto sufficiente e non comporta un obbligo di conferma con test molecolare per la diagnosi di infezione da Sars-Cov- 2, per la definizione di caso confermato Sars-Cov-2 e per le conseguenti disposizioni di isolamento o quarantena da parte dei Servizi di Igiene e Sanità Pubblica", è quanto si legge nell'ordinanza del presidente di Regione Sardegna, Christian Solinas.
Quindi il testo dell'ordinanza precisa che queste disposizioni "si applicano unicamente ai test antigenicieseguiti dai soggetti autorizzati dalla Regione Sardegna, secondo le disposizioni regionali citate in premessa, non anche ai test antigenici autosomministrati". E ancora: "Al fine di assicurare la tempestiva presa in carico dei casi positivi, tutti i soggetti autorizzati all'esecuzione di test antigenici, secondo le disposizioni regionali citate in premessa, devono garantire l'inserimento dei dati nei sistemi informatici regionali già in uso e secondo le medesime modalità fino ad ora adottate, avendo cura di verificarne preventivamente l'identità personale".
Inoltre "la diagnosi di infezione da Sars-Cov-2 in pazienti ospedalizzati, o per i quali deve essere disposta l'ospedalizzazione, deve essere confermata a mezzo di apposito test molecolare". Si legge ancora nell'ordinanza: "Al fine di garantire il monitoraggio della diffusione delle varianti virali circolanti nella Regione attraverso il sequenziamento dei campioni positivi a Sars-Cov-2, in coerenza con le raccomandazioni nazionali ed internazionali, i Servizi di Igiene e Sanità Pubblica devono garantire la conferma con test molecolare, entro 24h, di una quota dei casi positivi al test antigenico".
"I Laboratori di rifermento regionale- prosegue l'articolato del testo-, per il tramite della Direzione Generale della Sanità, devono comunicare ai Servizi di Igiene e Sanità Pubblica la percentuale settimanale di tamponi molecolari da collezionare attraverso procedure di controllo sulla popolazione, al fine di rendere significativo sotto il profilo epidemiologico e geografico il campione esaminato e garantire il sequenziamento genomico". E "La Direzione Generale della Sanità deve verificare settimanalmente il raggiungimento dello standard di incidenza sopracitato e darne immediata comunicazione ai Servizi di Igiene e Sanità Pubblica delle Aziende Sanitarie del SSR".
"Lo dico oggi per Pfizer, ma è lo stesso discorso già fatto per Moderna: è gravissimo che i Ceo di grandi aziende farmaceutiche parlino, come esperti, della necessità di una quarta dose di vaccino anti-Covid. E' fuori luogo che l'amministratore delegato di un'azienda dica quello che si deve fare".
Così all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, commenta quando detto da Albert Bourla, Ceo di Pfizer, in un'intervista alla Cbs, secondo cui "in questo momento, per quello che abbiamo visto, una quarta dose è necessaria".
Il coronavirus, intanto, "rialza la testa, ma dobbiamo abituarci all'altalena del numero dei contagi, che si alzano e si abbassano. In questo momento però dobbiamo vedere i numeri della malattia grave, che sono bassi, e sapere che una quota significativa dei ricoveri in ospedali non è per Covid, ma per altro e poi si scopre la positività", evidenzia ancora all'Adnkronos. E in Cina alcune tornano in lockdown. E' un segnale di morire san anche per l'Occidente? "Lì la situazione è difficile ma il nuovo lockdown 'zero Covid' - avverte Bassetti- In Cina la variante Omicron è arrivata dopo rispetto all'Italia perché avevano cercato di contenere il virus con la strategia 'zero Covid', ovvero tamponi a tutti e poi quarantene lunghe. Ma con Omicron non si possono usare le stesse strategie di Delta. La variante è incontenibile, ha una contagiosità 5-6 volte maggiore".
Quindi cosa andrebbe fatto? "Devono cambiare modello, passare dall'obiettivo 'zero Covid' alla mitigazione dell'impatto sugli ospedali, come abbiamo fatto in Europa - suggerisce Bassetti -. Oggi serve la convivenza con il virus e se hai i sintomi, spesso blandi come un'influenza, stai a casa. Questo sta avvenendo anche in Italia - sottolinea -, abbiamo il 5% di riempimento delle terapie intensive. Oggi i numeri sono questi, poi come vedremo la situazione epidemiologica cambierà nelle settimane".
Sul fronte della guerra, invece, Bassetti lancia l'allarme: "Arrivano di tanti profughi ucraini arrivati ??in Italia e positivi , molti sono nei Covid hotel".
"Dobbiamo imparare a convivere con una situazione importante di circolazione" del covid. "In alcun mesi dell'anno la numerosità dei casi passerà da 5.000 a 100mila e questa oscillazione sapremo gestirla in base ad alcune condizioni: a quelle ambientali, al comportamento delle persone e al livello di protezione immunologica della popolazione.
I prossimi inverni ci porteranno queste situazioni di picco e discesa, il primo in inverno e poi l'estate tranquilla". Così all'Adnkronos Salute Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, commenta l'incremento dei casi Covid nell'ultima settimana.
In questa situazione di endemia del coronavirus, quali sono le strategie per contenerlo? "Abbiamo capito che il vaccino riduce la circolazione e ci protegge dalla malattia grave - ricorda Andreoni - la mascherina ci aiuta a evitare situazioni di rischio al chiuso e gli assembramenti all'aperto. Poi è chiaro che si andrà verso una dose annuale del vaccino, non una quarta dose, ma un richiamo annuale per evitare recrudescenze autunnali, come già si fa per l'influenza".
E il Green pass, che fine farà? "Ci è servito per imporre ad alcune persone la vaccinazione - risponde Andreoni - direi che va tenuto in funzione della situazione epidemica, se è bassa si può alleggerire". Infine sullo stop alle mascherine al chiuso, ipotesi che sta circolando già dal mese di aprile, Andreoni è chiaro: "Va tenuta anche oltre la fine dello stato di emergenza, e consiglierei anche di non togliersela all'aperto quando c'è affollamento".
"La mia idea è che non si può seguire in maniera troppo schizofrenica l'andamento dei contagi" Covid in Italia. "Ma che si debba invece tenere presente quello che oggi dal punto di vista clinico deriva da questa infezione, cioè poco al momento, perché la pressione sulle strutture ospedaliere è stabile". A gettare acqua sul fuoco è Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Oggi "è cambiato il paradigma - osserva all'Adnkronos Salute -. La pressione sul sistema sanitario è modificata dalla variante Omicron, che è sì più diffusiva ed è vero che infetta anche persone che possono avere una copertura vaccinale completa con tre dosi, però dal punto di vista clinico è più modesta", almeno in una popolazione vaccinata. "Quindi non capirei un allarme adesso - dice Clementi - Ci si potrebbe preoccupare nel momento in cui si riconoscesse che il virus muta di nuovo e che invece di questa evoluzione con la variante Omicron prende un'altra strada, tornando alla Delta o ai predecessori della Delta. Allora sì che dovremmo preoccuparci. Ma finché questo non avverrà, no. E io in questo momento credo che non possa avvenire".
Quindi, rimarca il virologo, "non sono d'accordo che l'aumento dei contagi debba avere un rilievo eccessivo. Poi che ci possano essere nuove varianti, purché siano 'Omicron-derived', va bene. Solo se dovesse essere una variante completamente diversa mi preoccuperebbe di più. Neanche Omicron 2 (BA.2, la cui quota è in crescita) cambia il quadro clinico - è convinto Clementi - e da questo punto di vista siamo abbastanza tranquilli per il momento".
?
Il Tar del Lazio ha stabilito che sono del tutto legittimi i provvedimenti attraverso i quali la Pubblica amministrazione ha predisposto la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per chi non ha provveduto ad assolvere l'obbligo vaccinale.
La decisione è arrivata in una sentenza, grazie a cui i giudici hanno respinto un maxi ricorso, avanzato da 127 dipendenti pubblici appartenenti a diversi comparti tra cui difesa, sicurezza e soccorso pubblico, oltre che alla scuola, sospesi dal servizio proprio perché senza certificazione verde per non aver rispettato l'obbligo vaccinale.
?
Researchers from the National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) are conducting a clinical trial designed to help understand rare but potentially serious systemic allergic reactions to COVID-19 mRNA vaccines. The single-site trial will enroll up to 100 people aged 16 to 69 years old who had an allergic reaction to a first dose of COVID-19 mRNA vaccines. Study participants will receive a second dose of vaccine as inpatients under carefully controlled conditions at the National Institutes of Health’s Clinical Center in Bethesda, Maryland.
“People who experienced an allergic reaction after receiving a COVID-19 mRNA vaccine may be hesitant to complete their vaccine regimen,” said Anthony S. Fauci, M.D., NIAID Director. “This study will help us determine if individuals who experienced moderate systemic allergic reactions can safely receive a second dose of a COVID-19 mRNA vaccine.”
The trial is seeking participants who experienced a mild or moderate systemic allergic reaction following a first dose of either the Pfizer-BioNTech or the Moderna COVID-19 mRNA vaccine. However, people who developed severe allergic reactions to a first dose of a COVID-19 mRNA vaccine are not eligible to enroll. Pamela A. Guerrerio, M.D., Ph.D., of NIAID’s Laboratory of Allergic Diseases, leads the trial.
“Overall, severe allergic reactions to COVID-19 mRNA vaccines, including life-threatening anaphylaxis reactions such as low blood pressure and difficulty breathing, are rare, on the order of five cases per million vaccine doses administered,” noted Dr. Guerrerio. “Our study aims to provide a better understanding of the mechanisms responsible for systemic allergic reactions such as hives, swelling, trouble breathing and light-headedness or passing out.”
To maximize safety, all participants will be admitted for a minimum of four days to the Intensive Care Unit at the NIH Clinical Center, where experienced medical staff, as well as equipment and medications needed to treat severe allergic reactions, are readily available. On consecutive days, each participant will be randomly assigned to receive either the FDA-approved Pfizer COVID-19 mRNA vaccine, Comirnaty, or a look-alike dose of inactive placebo. All participants will thus receive the vaccine on one of the two days and can expect to be fully vaccinated by the end of their ICU admission.
At admission and during the inpatient stay, participants will have breathing tests and frequent blood draws, which will be used by medical staff to discern details of any allergic or other responses to the vaccine. The enrollees will also complete mental health/anxiety questionnaires prior to, at the time of, and in the months following vaccination. In addition to a follow-up interview by phone one week after discharge, participants will also be asked to return to the NIH for an in-person follow-up one month and again five months after vaccination. At the five-month visit, all participants who tolerated the second dose of the vaccine with no or only mild symptoms will be offered a booster vaccination with the Comirnaty COVID-19 vaccine.
Nella settimana 2-8 marzo si registra un ulteriore calo dei nuovi vaccinati: sono 29.474 rispetto ai 39.036 della settimana precedente, pari a -24,5%. Di questi, il 17,9% è rappresentato dalla fascia 5-11 pari a 5.290 minori. Nonostante l'obbligo vaccinale e l'obbligo di green pass rafforzato sui luoghi di lavoro, tra gli over 50 il numero di nuovi vaccinati scende ancora, attestandosi a quota 9.682, pari a -11,5% rispetto alla settimana precedente.
Le coperture con almeno una dose di vaccino sono molto variabili nelle diverse fasce d'età, passando dal 99,3% degli over 80 al 37,1% della fascia 5-11, così come sul fronte dei richiami, che negli over 80 hanno raggiunto l'88,5%, nella fascia 70-79 l'87,2% e in quella 60-69 anni l'83,7%. Sono alcuni dei dati emersi dal monitoraggio settimanale dell'epidemia da Covid-19 della Fondazione Gimbe. Dati che fanno temere una nuova e più aggressiva circolazione del virus, da arginare con l'uso dei vaccini. In Italia sono cinque quelli approvati contro il Covid-19 dall'inizio della pandemia da coronavirus. Vediamo la loro indicazione anche in base alle fasce d'età. Il 22 dicembre 2020 l'Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato il Comirnaty di Pfizer-BioNtech, il 7 gennaio 2021 lo Spikevax di Moderna, il 30 gennaio ha dato il via libera al Vaxzevria di AstraZeneca, il 12 marzo 2021 il semaforo verde si è acceso per il vaccino Janssen di Johnson & Johnson e il 22 dicembre scorso l'Aifa ha detto sì all'uso di Nuvaxovid di Novavax.
Comirnaty viene somministrato agli over 18 per quanto riguarda il ciclo primario e per la dose booster. A giugno scorso l'Aifa ha approvato la vaccinazione mista, o eterologa, che permette la somministrazione di una seconda dose di un vaccino a mRna, come ad esempio Pfizer, a quanti hanno ricevuto come prima un vaccino a vettore virale e hanno un'età inferiore ai 60 anni. Comirnaty è stato approvato anche per le persone di età compresa tra i 12 e i 17 anni, sia per quanto concerne il ciclo primario che per la dose booster, e per i bambini dai 5 agli 11 anni. In questo caso si tratta, però, di una dose ridotta, pari a un terzo del dosaggio di adulti e adolescenti, e con una specifica formulazione. Attualmente sono due le dosi che vengono somministrate ai piccoli tra i 5 e gli 11 anni, a distanza di tre settimane l'una dall'altra. Comirnaty viene utilizzato anche per la 'quarta dose' in persone immunodepresse. Per le persone immunodepresse chiamate a fare la 'quarta dose' va bene anche Spikevax.
Secondo vaccino autorizzato in Italia, Spikevax è indicato nella immunizzazione di persone con le prime dosi, nella somministrazione di una seconda dose a chi ne ha ricevuta una di un vaccino a vettore virale e ha meno di 60 anni e nel rafforzamento della protezione del sistema immunitario con la dose booster. Accogliendo il parere dell'Agenzia europea dei medicinali (Ema), l'Aifa ha inoltre dato il via libera a Spikevax per la fascia di età compresa tra i 12 e i 17 anni, anche se al momento l'approvazione riguarda solo la somministrazione delle prime due dosi, mentre per i soggetti in questa fascia di età la dose booster è autorizzata solo con l'inoculazione del vaccino Comirnaty. Vaxzevria e Janssen sono due vaccini a vettore virale usati molto meno rispetto agli altri. Secondo i dati forniti dal governo e aggiornati alle ore 6.18 di questa mattina, su un totale di 141.928.227 vaccini distribuiti, solo 11.544.818 sono infatti di AstraZeneca e 1.849.434 di Johnson & Johnson, l'unica ad aver sviluppato un vaccino monodose.
Un vero percorso ad ostacoli, legato soprattutto al timore di effetti collaterali gravi come le trombosi e a numerose difficoltà nelle consegne. Alle persone di età pari o superiore a 18 anni viene inoculato Nuvaxovid, nonostante l'Agenzia italiana del farmaco tenga a sottolineare che "il vaccino ha mostrato un'efficacia di circa il 90% nel prevenire la malattia anche nella popolazione di età superiore ai 64 anni". Unico vaccino anti Covid-19 che si serve della tecnologia delle proteine ricombinanti, già usata ad esempio per il vaccino contro l'epatite B ed il papilloma virus, Nuvaxovid viene somministrato in due dosi, a distanza di tre settimane l'una dall'altra. Può essere utilizzato solo per il ciclo primario, come ha informato il ministero della Salute, e si conserva ad una temperatura compresa tra i 2 e gli 8 gradi.
Date le sue caratteristiche si era pensato che Nuvaxovid avrebbe potuto convincere chi ancora non si è vaccinato contro il Covid-19, ma pochi giorni fa il sottosegretario di Stato alla Salute, Pierpaolo Sileri, è stato chiaro: "Non ho mai creduto che potesse essere una soluzione per gli indecisi, se non per poche persone- ha detto l'esponente del governo- la verità è che chi non si è vaccinato fino ad oggi, difficilmente oggi si convincerà a farlo". D'altronde, come evidenziato oggi dalla Fondazione Gimbe, dal 28 febbraio sono 11.595 le dosi del vaccino Novavax somministrate.
Moderna annuncia l'avvio di uno studio di fase 2 su un candidato vaccino booster bivalente contro Covid-19, denominato mRna-1273.214. Si tratta di un prodotto mirato alla variante Omicron di Sars-CoV-2 - spiega l'azienda americana - che combina il candidato booster specifico per Omicron mRna-1273.529 con il vaccino anti-Covid Spikevax* (mRna-1273). Il '2 in 1' è stato somministrato al primo partecipante al processo.
Lo studio ne estende uno precedente - precisa Moderna - e valuterà l'immunogenicità, la sicurezza e la reattogenicità di mRna-1273.214 come singola dose di richiamo negli adulti di età pari o superiore a 18 anni, che hanno ricevuto precedentemente il ciclo primario con due dosi di Spikevax e una terza dose dello stesso (dimezzata rispetto alle precedenti), con quest'ultima fatta almeno 3 mesi fa. Moderna prevede di arruolare circa 375 persone, in una ventina di centri negli Stati Uniti.
"Siamo lieti di iniziare questo studio sul nostro candidato booster bivalente che include il nostro candidato specifico per Omicron e il vaccino Moderna Covid-19" Spikevax, dichiara il Ceo della compagnia, Stéphane Bancel. "La nostra piattaforma mRna ci consente velocità e flessibilità per creare un vaccino su misura a colpire nuove varianti che emergono - aggiunge - Il nostro obiettivo obiettivo era rimanere al passo con il virus, lo sta testando inoltre in uno studio di fase 3 nel Regno Unito, in collaborazione con il National Institute for Health Research (Nihr). L'azienda prevede di iniziare presto a somministrare il bivalente mRna-1273.214 anche nel trial inglese.
"Abbiamo vissuto, i nostri neuropsichiatri e tutti coloro che si dedicano a questo tema, un aumento grandissimo di casi legati all'ansia e alle tendenze suicide. Si è visto che oggi, e tutto questo continua, la tendenza è soprattutto verso gravi crisi d'ansia, forte depressione e pensieri di suicidi, che molte volte si concretizzano in suicidi veri e altre volte possono essere allontanati".
Lo ha raccontato la presidente dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù, Mariella Enoc, in occasione di '(In)Adatti: Covid e adolescenti', evento organizzato da Scholas Occurrentes in collaborazione con 'Osservatorio TuttiMedia' per fare luce sugli effetti della pandemia da coronavirus sulla salute psico emotiva dei giovani adolescenti italiani a due anni dal lockdown. Enoc ha aggiunto che "c'è un impegno, non solo della Neuropsichiatria ma di tutto l'ospedale, nel cercare anche di potere accogliere e ascoltare tutti questi adolescenti che stanno arrivando. Contemporaneamente c'è stato un grandissimo aumento di tutti i disturbi legati all'alimentazione, dall'anoressia all'obesità. I casi di obesità stanno aumentando fortemente, con tutto quello che ne consegue, portando malattie che durano nel tempo". La presidente del Bambino Gesù ha poi informato che "il 22 marzo inaugureremo il primo centro di cure palliative pediatriche ed entro 3-4 mesi apriremo un centro di post acuzie per le malattie legate ai disturbi alimentari, perchè l'unico presente nell'Italia centro meridionale si trova in Umbria. Ultimamente abbiamo ricoverato, in un solo giorno, 18 ragazze anoressiche gravissime, un numero davvero impressionante".
Secondo Mariella Enoc "non è cambiato nulla" se si pensa alla fine dell'emergenza pandemica, "perchè ora c'è la guerra. Quindi tutta la fragilità che si è manifestata nei giovani non è diminuita, anzi sta aumentando. Ci sono sempre più giovani che non vogliono uscire di casa e che non vogliono relazionarsi con le persone". Entrando poi nel dettaglio, la presidente dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha precisato che "ci sono due categorie di adolescenti: coloro che ormai hanno rinunciato a vivere e coloro che invece vogliono continuare a vivere. Due categorie con un'impronta diversa rispetto all'educazione di libertà di poter scegliere. I nostri giovani hanno bisogno di scegliere liberamente". Un pensiero, infine, alla guerra tra Russia ed Ucraina. "Di guerre ne ho viste tante, dalla Siria all'Africa e posso dire che sono tutte brutte. Mi chiedo quanto i giovani siano protagonisti di questi eventi. Mi auguro che adesso, di fronte al conflitto, non si vada a scuola a parlare di Napoleone ma- conclude Enoc- se possibile, si parli di quello che sta succedendo e si faccia un po' di geopolitica di oggi".
Pfizer annuncia l'avvio di uno studio di fase 2-3 per valutare la sicurezza e l'efficacia della pillola antivirale Paxlovid* (nirmatrelvir/ritonavir) come trattamento anti- Covid nei pazienti pediatrici a rischio di progressione verso una forma grave di malattia.
Il farmaco - ricorda l'azienda americana - è attualmente indicato per la somministrazione in pazienti adulti e in pazienti pediatrici over 12 con un peso minimo di 40 chilogrammi. Il comunicato trial di fase 2-3 oggi è uno studio in aperto, multicentrico, a braccio singolo, su circa 140 under 18. L'arruolamento iniziale prevede due coorti: la prima include partecipanti di età compresa tra 6 e 17 anni, che pesano almeno 40 kg, mentre la coorte 2 comprende pazienti della stessa età che pesano più di 20 kg ma meno di 40. I 6-17enni della coorte 1 riceveranno nirmatrelvir/ritonavir 300 milligrammi/100 mg per via orale due volte al giorno per 5 giorni (10 dosi in totale), ossia il dosaggio attualmente autorizzato per i pazienti pediatrici oltre 12 anni che pesano almeno 40 kg. I coetanei della coorte 2 riceveranno invece nirmatrelvir/ritonavir 150 mg/100 mg, sempre per via orale due volte al giorno per 5 giorni (10 dosi in tutto).
I coetanei della coorte 2 riceveranno invece nirmatrelvir/ritonavir 150 mg/100 mg, sempre per via orale due volte al giorno per 5 giorni (10 dosi in tutto).
Pfizer sta inoltre lavorando allo sviluppo di una formulazione ad hoc per tre ulteriori coorti di minori di 6 anni e includerà nell'arruolamento questi gruppi di età inferiore quando i dati delle coorti 1 e 2 e la nuova formulazione saranno disponibili. Un comitato di monitoraggio indipendente esaminerà i dati sulla sicurezza in ciascuna corte.
"Dall'inizio della pandemia, solo negli Stati Uniti più di 11 milioni di under 18 sono risultati positivi a Covid-19, rappresentando quasi il 18% dei casi segnalati e portando a oltre 100mila i ricoveri ospedalieri - afferma Mikael Dolsten, Chief Scientific Officer di Pfizer e presidente Worldwide Research, Development and Medical -. Esiste dunque un significativo bisogno insoddisfatto di trattamenti ambulatoriali che possono essere assunti da bambini e adolescenti per aiutare a prevenire la progressione verso malattia grave, ricovero o morte. Paxlovid* è già autorizzato o approvato in molti Paesi del mondo", più di 50, "con oltre 1,5 milioni di trattamenti erogati finora e 30 milioni previsti entro luglio. Siamo orgogliosi di ampliare gli studi" su questo antivirale, "per includere i partecipanti pediatrici e valutare ulteriormente la sicurezza e l'efficacia di questo trattamento in questa importante popolazione", conclude Dolsten.
Nello studio Epic-Hr - ricorda Pfizer - rispetto a placebo Paxlovid* ha ridotto il rischio di ospedalizzazione o decesso per qualsiasi causa dell'89% quando somministrato entro 3 giorni dall' esordio dei sintomi, e dell'88% se dato entro i primi 5 giorni, senza morti osservate nel gruppo di trattamento. Gli eventi avversi sono risultati comparabili per farmaco e placebo (23% e 24% rispettivamente), e la maggior parte era di intensità lieve.
La sicurezza e l'efficacia di Paxlovid* non sono state ancora stabilite direttamente nei pazienti pediatrici, puntualizza la compagnia Usa. Per questo i dati dello studio Epic-Peds forniranno ulteriore supporto per le raccomandazioni sulla dose più indicata in popolazione questa, oltre ad ampliare l'indicazione ai gruppi di età più giovani e di peso inferiore. Gli eventi avversi sono risultati comparabili per farmaco e placebo (23% e 24% rispettivamente), e la maggior parte era di intensità lieve.
La sicurezza e l'efficacia di Paxlovid non sono state ancora stabilite direttamente nei pazienti pediatrici, puntualizza la compagnia Usa. Per questo i dati dello studio Epic-Peds forniranno ulteriore supporto per le raccomandazioni sulla dose più indicata in popolazione questa, oltre ad ampliare l'indicazione ai gruppi di età più giovani e di peso inferiore. I dati dello studio Epic-Peds forniranno ulteriore supporto per le raccomandazioni sulla dose più indicata in popolazione questa, oltre ad ampliare l'indicazione ai gruppi di età più giovani e di peso inferiore.
La nuova variante Omicron 3 del covid segnalata anche in Italia "è una sottovariante di Omicron che, in studi di sequenziamento, sì è visto che ha una piccolissima parte uguale a Omicron, attualmente in circolazione nel nostro Paese. Dal punto di vista formale la differenza tra Omicron 1, 2 o 3 interessa solo cacciatori di virus e chi studia il sequenziamento. Ma hanno effetti identici, ovvero sono varianti gemelle.
Ma a livello di aggressività e di risposta ai vaccini non c'è differenza. Io continuo a sottolineare che occorre evitare l'allarmismo o il terrorismo delle varianti, ogni nuova variante è accompagnata da un certo clamore e terrorismo mediatico che in qualche modo poi viene derubricato dalla realtà. I vaccini funzionano". Lo sottolinea all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, facendo il punto sulla situazione epidemiologica e il rischio di nuove varianti.
"L'aumento dei contagi osservato nell'ultima settimana è un rimbalzo tipico della dinamica del virus soprattutto in questa fase, che arriva dopo una amplissima circolazione nel mese passato", sottolinea quindi Bassetti. "Dobbiamo vigilare e far sì che le persone tornino a pensare che il Covid sia un problema - avverte l'esperto - e che non è tutto finito, che ci sarà da fare un richiamo del vaccino anti-Covid ma non si alza l'attenzione con il terrorismo delle varianti. Io non ci sto - rimarca - la situazione in ospedale è tranquilla e senza pressioni".
Moderna rinuncia ai brevetti sul vaccino per Covid-19 per 92 Paesi a basso e medio reddito nella Gavi Covax Amc. Lo ha annunciato la stessa azienda biotech americana, presentando la strategia sul fronte dei vaccini.
"Per sottolineare ulteriormente l'impegno nei confronti dei Paesi a basso e medio reddito, e all'interno del sostegno al raggiungimento dell'equità sanitaria globale", Moderna sta ora ampliando la promessa di non far valere mai i suoi brevetti per i vaccini Covid-19 in questi 92 Paesi a basso e medio reddito, a condizione che i vaccini prodotti siano destinati esclusivamente all'uso in tali Paesi. Negli altri Paesi che non fanno parte di questo gruppo, la fornitura di vaccini non è più una barriera all'accesso. L'azienda, dunque, continuerà a far valere il rispetto della proprietà intellettuale. Moderna rimane disposta a concedere in licenza la sua tecnologia per i vaccini Covid-19 ai produttori in questi Paesi a condizioni commercialmente ragionevoli.
"Ci impegniamo a sconfiggere la pandemia in tutto il mondo e lo stiamo realizzando attraverso il nostro impegno a non far rispettare i nostri brevetti relativi al Covid-19 nei Paesi a basso e medio reddito, ma anche attraverso la consegna della maggior parte delle dosi di vaccino a Covax al prezzo più basso per dose - rimarca Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna - Abbiamo compiuto passi significativi per aumentare l'offerta e ampliare l'accesso globale, e aumentare la nostra capacità consentendoci di produrre miliardi di dosi del nostro vaccino ogni anno". Quest'ultimo passo "sottolinea ulteriormente il nostro impegno per l'accesso globale".
"Mi dispiace che in questo Paese si passi a criticare i medici sul campo, i virologi, gli infettivologi, gli igienisti, che si sono fatti un mazzo così" nella gestione del Covid in Italia, "e non si sia in grado di guardare mai agli errori commessi dalla politica, dalla struttura commissariale e dal Cts. Nei libri criticano i medici che hanno fatto un lavoro eccezionale, anche i virologi che sono andati in tv. C'è un modo ideologico di gestire la pandemia, sbagliano sempre gli altri".
Così all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, commenta un passaggio del libro scritto dal commissario straordinario all'emergenza coronavirus, Francesco Paolo Figliuolo, con Beppe Severgnini, in cui il generale parlando delle liti dei medici in tv ha evidenziato che "certe scene non hanno aiutato la gente a capire" e che "la fama improvvisa ha fatto emergere nel mondo scientifico contrasti umani e naturali".
"Non so a chi si riferisca il generale Figliuolo, certamente ho grande stima di lui, ma che si metta a dare giudizi su medici bravi e meno bravi lo trovo esagerato e poteva evitarselo - dice Bassetti - Spero l'abbia scritto Severgnini e non Figliuolo. Perché discutere, ragionare e avere idee diverse in ambito scientifico porta a migliorarsi. Un continuo confronto pubblico ha portato all'arricchimento di tutti noi". "Magari" Figliuolo "dovrebbe vedere quello che si è fatto a livello di Governo, perché se si fossero ascoltati gli scienziati certi errori non si sarebbero commessi".
Nel dettaglio, in un passaggio del libro 'Un italiano - Quello che la vita mi ha insegnato per affrontare la sfida più grande', edito da Rizzoli, Figliuolo afferma: "Ho pensato che certe scene potevamo, e dovevamo, risparmiarcele. Non hanno aiutato la gente a capire".
"Ho un sospetto: i virologi, molti dei quali sono bravissimi, in ambito scientifico sono stati un po’ negletti. Non perché la virologia sia una disciplina minore rispetto alla cardiologia, alla chirurgia o all’oncologia. Però, diciamo la verità, il grande pubblico un virologo manco sapeva chi era...", continua. "La fama improvvisa ha fatto emergere nel mondo scientifico contrasti umani e naturali", conclude.
Un nuovo studio ha analizzato oltre 3000 proteine ??per identificare quali sono collegate allo sviluppo di COVID-19 severo. Questo è il primo studio a valutare un numero così elevato di proteine ??per la loro connessione al COVID-19. I risultati forniscono informazioni sui potenziali nuovi obiettivi per gli approcci per il trattamento e la prevenzione di COVID-19 grave.
Pubblicato su PLOS Genetics e finanziato in parte dal Maudsley Biomedical Research Center del National Institute for Health Research (NIHR), lo studio ha utilizzato uno strumento genetico per lo screening di oltre 3000 proteine. I ricercatori hanno identificato sei proteine ??che potrebbero essere alla base di un aumento del rischio di COVID-19 grave e otto che potrebbero contribuire alla protezione da COVID-19 grave.
Una delle proteine ??(ABO), che è stata identificata come avente una connessione causale con il rischio di sviluppare una grave COVID-19, determina i gruppi sanguigni, suggerendo che i gruppi sanguigni svolgono un ruolo determinante nel determinare se le persone sviluppano forme gravi della malattia.
"Abbiamo utilizzato un approccio puramente genetico per indagare su un gran numero di proteine ??del sangue e abbiamo stabilito che una manciata ha legami causali con lo sviluppo di grave COVID-19. Approfondire questo gruppo di proteine ??è un primo passo fondamentale per scoprire bersagli potenzialmente preziosi per lo sviluppo di nuovi trattamenti”, afferma il co-primo autore, il dottor Alish Palmos dell'Institute of Psychiatry, Psychology & Neuroscience (IoPPN) del King's College di Londra.
Valutare il modo in cui le proteine ??del sangue sono collegate alla malattia può aiutare a comprendere i meccanismi sottostanti e identificare potenziali nuovi bersagli per lo sviluppo o il riutilizzo di farmaci. I livelli di proteine ??possono essere misurati direttamente da campioni di sangue, ma condurre questo tipo di ricerca per un gran numero di proteine ??è costoso e non può stabilire una direzione causale.
È qui che la genetica può giocare un ruolo. La randomizzazione mendeliana, un metodo per confrontare le relazioni causali tra fattori di rischio ed esiti per la salute, utilizzando ampi dataset genetici può valutare la relazione tra varianti genetiche legate a un'esposizione (in questo caso alti livelli di proteine ??del sangue individuali) e varianti genetiche legate all'esito della malattia ( in questo caso grave COVID-19).
"La causalità tra esposizione e malattia può essere stabilita perché le varianti genetiche ereditate dal genitore alla prole sono assegnate casualmente al concepimento in modo simile a come uno studio randomizzato controllato assegna le persone ai gruppi -aggiunge il co-primo autore, il dottor Vincent Millischer dell'Università di Medicina di Vienna- Nel nostro studio i gruppi sono definiti dalla loro propensione genetica a diversi livelli di proteine ??nel sangue, consentendo una valutazione della direzione causale dai livelli elevati di proteine ??nel sangue alla gravità di COVID-19, evitando l'influenza degli effetti ambientali".
Lo studio ha considerato due livelli incrementali di gravità di COVID-19: ricovero e supporto respiratorio o morte. Utilizzando i dati di una serie di studi di associazione sull'intero genoma, i ricercatori hanno trovato sei proteine ??che erano causalmente collegate a un aumentato rischio di ricovero o supporto/morte respiratoria a causa di COVID-19 e otto causalmente collegate alla protezione contro il ricovero o supporto/morte respiratoria.
L'analisi ha mostrato una certa distinzione tra i tipi di proteine ??legate al ricovero e quelle legate al supporto/morte respiratoria, indicando che in questi due stadi della malattia possono essere all'opera diversi meccanismi.
L'analisi ha identificato che un enzima (ABO) che determina il gruppo sanguigno era causalmente associato sia a un aumentato rischio di ricovero sia alla necessità di supporto respiratorio. Ciò supporta i risultati precedenti sull'associazione del gruppo sanguigno con una maggiore probabilità di morte. Preso insieme alla ricerca precedente che mostra che la proporzione del gruppo A è più alta negli individui positivi al COVID-19, questo suggerisce che il gruppo sanguigno A è candidato per gli studi di follow-up.
“L'enzima aiuta a determinare il gruppo sanguigno di un individuo e il nostro studio lo ha collegato sia al rischio di ricovero che alla necessità di supporto respiratorio o alla morte -sottolinea il co-ultimo autore, il dottor Christopher Hübel dell'IoPPN, del King's College di Londra- Il nostro studio non collega un gruppo sanguigno preciso al rischio di COVID-19 grave, ma poiché ricerche precedenti hanno scoperto che la proporzione di persone del gruppo A è più alta negli individui positivi al COVID-19, ciò suggerisce che il gruppo sanguigno A è più probabile candidato per il follow -up studi".
I ricercatori hanno anche identificato tre molecole di adesione come causalmente collegate a un ridotto rischio di ricovero e alla necessità di supporto respiratorio. Poiché queste molecole di adesione mediano l'interazione tra le cellule immunitarie e i vasi sanguigni, ciò è in sintonia con la ricerca precedente che suggerisce che la fase avanzata del COVID-19 è anche una malattia che coinvolge i rivestimenti dei vasi sanguigni.
Identificando questa suite di proteine, la ricerca ha evidenziato una serie di possibili bersagli per i farmaci che potrebbero essere utilizzati per aiutare a curare il COVID-19 grave. Questi avranno bisogno di ulteriori indagini cliniche che possono essere intraprese nell'ambito del più ampio studio di neuroscienze cliniche COVID (COVID-CNS) che sta studiando le cause alla base di diversi aspetti di COVID-19.
“Con il nostro studio abbiamo fornito una rosa di candidati per la fase successiva della ricerca. Su migliaia di proteine ??del sangue, l'abbiamo ridotto a circa 14 che hanno una qualche forma di connessione causale con il rischio di COVID-19 grave e presentano una strada potenzialmente importante per ulteriori ricerche per comprendere meglio i meccanismi alla base di COVID-19 con un ultimo scopo di sviluppare nuove cure ma potenzialmente anche terapie preventive”, evidenzia Gerome Breen, professore di genetica presso l'IoPPN e co-ultimo autore dell'articolo. La ricerca è stata supportata da NIHR Maudsley Biomedical Research Centre, Medical Research Council, UK Research and Innovation, Wellcome Trust e Lundbeck Foundation.
PLOS Genetics: "Proteome-wide Mendelian randomization identifies causal links between blood proteins and severe COVID-19" DOI: 10.1371/journal.pgen.1010042
Antonio Caperna
Green pass, mascherine, bollettino Covid. Matteo Bassetti, direttore delle Malattie infettive del policlinico San Martino di Genova, fa il punto in un post su Facebook volgendo lo sguardo alla situazione nel resto d'Euroopa.
"La capacità e la velocità di alleggerire le misure restrittive per il contenimento del Covid sono direttamente correlate alla adeguatezza di chi dovrebbe decidere. Spiace constatare che in Italia, nonostante sia uno dei paesi più vaccinati d’Europa, prevalga un atteggiamento ideologico e non scientifico nei confronti dei divieti e delle restrizioni" sottolinea Bassetti.
"Altri Paesi europei hanno già annunciato il superamento delle misure di contenimento. Dal prossimo 14 marzo in Francia non ci sarà più l'obbligo di indossare la mascherina, al chiuso e all'aperto, e di presentare il Green Pass. Anche la Germania da metà marzo non chiederà più il Green Pass per bar, ristoranti, hotel ed eventi all’aperto fino a 25 mila partecipanti".
"In Spagna, invece, non verrà più pubblicato un bollettino ufficiale giornaliero sulla situazione sanitaria riguardante il Covid. E in Italia? Si contrappone l’ideologia al pragmatismo guidato da scienza e vaccini", dice Bassetti.
Covid oggi in Italia, terapia intensiva e no vax, vaccino e dose booster. L’efficacia del vaccino nel prevenire casi di malattia severa Covid-19 è pari all'85% nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90 giorni, all'88% nei vaccinati con ciclo completo da 91 e 120 giorni, e all'82% nei vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 120 giorni e arriva al 92% nei soggetti vaccinati con dose booster.
E' quanto emerge dal report esteso dell'Istituto superiore di sanità (Iss), 'Covid-19: sorveglianza, impatto delle infezioni ed efficacia vaccinale'.
L'effetto preventivo del vaccino contro la diagnosi di infezione da Sars-CoV-2 è pari al 63% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, 52% tra i 91 e 120 giorni, e 44% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale. Si raggiunge il 63% nei soggetti vaccinati con dose booster.
Il tasso di ricoveri in terapia intensiva standardizzato per età, relativo alla popolazione con più di 12 anni, nel periodo 14 gennaio-13 febbraio per i non vaccinati (25 ricoveri in terapia intensiva per 100.000 abitanti) risulta circa cinque volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da meno di 120 giorni (5 per 100.000 abitanti) e circa 16 volte più alto rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster (2 ricoveri in terapia intensiva per 100.000 abitanti), si legge ancora nel report.
Il tasso di ospedalizzazione standardizzato per età, relativo alla popolazione con più di 12 anni, sempre nel periodo 14 gennaio-13 febbraio per i non vaccinati (321 ricoveri per 100.000 abitanti) risulta circa quattro volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da meno di 120 giorni (84 ricoveri per 100.000) e circa nove volte più alto rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster (36 ricoveri per 100.000 abitanti).
L'Iss fa sapere inoltre che nell’ultima settimana la percentuale di reinfezioni sul totale dei casi segnalati è pari a 3,2%, stabile rispetto alla settimana precedente. Dal 24 agosto 2021 al 2 marzo di quest'anno sono stati segnalati 241.753 casi di reinfezione, pari a 3% del totale dei casi notificati.
"L’analisi del rischio di reinfezione a partire dal 6 dicembre 2021 (data considerata di riferimento per l’inizio della diffusione della variante Omicron) - spiega l'Iss - evidenzia un aumento del rischio relativo aggiustato di reinfezione nei soggetti con prima diagnosi di Covid-19 notificata da oltre 210 giorni rispetto a chi ha avuto la prima diagnosi di Covid-19 fra i 90 e i 210 giorni precedenti; nei soggetti non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni rispetto ai vaccinati con almeno una dose entro i 120 giorni; nelle femmine rispetto ai maschi. Il maggior rischio nei soggetti di sesso femminile può essere verosimilmente dovuto alla maggior presenza di donne in ambito scolastico (>80%) dove viene effettuata una intensa attività di screening e al fatto che le donne svolgono più spesso la funzione di caregiver in ambito famigliare". E inoltre, il rischio di infettarsi di nuovo è maggiore negli operatori sanitari e "nelle fasce di età più giovani (dai 12 ai 49 anni) rispetto alle persone con prima diagnosi in età compresa fra i 50-59 anni. Verosimilmente il maggior rischio di reinfezione nelle fasce di età più giovani è attribuibile a comportamenti ed esposizioni a maggior rischio, rispetto alle fasce d’età con più di 60 anni".
Il Covid allenta inoltre la morsa anche fra i più giovani. Dalla seconda decade di gennaio è stabile al 29% la percentuale dei casi segnalati nella popolazione in età scolare (0-19 anni) rispetto al resto della popolazione. Nell’ultima settimana il 19% dei casi in età scolare è stato diagnosticato nei bambini sotto i 5 anni, il 43% nella fascia d’età 5-11 anni, il 38% nella fascia 12-19 anni. Si confermano in diminuzione i tassi di incidenza e di ospedalizzazione in tutte le fasce d’età.
Dall’inizio dell’epidemia in Italia al 2 marzo 2022 sono stati diagnosticati e riportati al sistema di sorveglianza integrata Covid 2.886.769 casi nella popolazione 0-19 anni, di cui 14.878 ospedalizzati, 344 ricoverati in terapia intensiva e 49 deceduti.
"Non credo che" il covid "scomparirà come sono scomparsi Sars-Cov- 1 e la Mers, che erano così letali da essere facili da isolare ed erano dannosi per se stessi perché uccidevano l'ospite e si auto-eliminavano.
La cosa più probabile è che questo coronavirus invece riemerga. E' quello che ha fatto fino ad ora. Si ipotizza, e su questo c'è una visione comune tra molti virologi, che rimarrà con noi e che possa avere una stagionalità, anche perché è respiratorio". Ad affermarlo Giorgio Palù, virologo e presidente dell'Aifa, nella sua 'Lectio magistralis' all'incontro "Covid-19: scienza o rappresentazione', organizzato dalla Fondazione Bruno Kessler.
"Ciò che abbiamo visto fin ora - ha aggiunto - ci incoraggia su questa linea, perché abbiamo visto un virus altamente patogeno perdere progressivamente la patogenicità. Ricordo però che ci sono tre funzioni biologiche essenziali un virus: infettività, patogenicità ed immunoevasione. Ed è difficile che un virus acquisisca tutte e tre le funzioni: qualcuna ne deve pur perdere per la sua finalità che è quella di persistere".
Quello "che abbiamo sul tappeto - sottolinea - e che dovrebbe essere una lezione per i virologi veri, non quelli televisivi, è studiare meglio l'impatto sulla patogenesi, quindi caratterizzare la morbosità, la letalità, la virulenza", poi "identificare la sorgente" e "avere un sistema di monitoraggio che ci consenta di monitorare le evoluzioni in tempi più rapidi. Siamo quelli che sequenziano meno: sequenziamo 7mila genomi al mese, quando in Inghilterra ne fanno 150mila. C'è bisogna di investimenti in ricerca e virologia vera", ha sottolineato.
Quanto alla campagna vaccinale" non può dirsi assolutamente conclusa. Abbiamo 8 milioni di persone che non hanno fatto il booster". Neanche l'arrivo di Novavax ha smosso la situazione, dando nuovo slancio alla campagna. "Sembrava fosse il vaccino per i no vax, perché più tradizionale. Ieri Ema l'ha approvato come ciclo primario anche per gli adolescenti. In ogni caso c'è una resistenza di una certa fetta di popolazione e quella non si vince con nessun vaccino. Ma certo la campagna non può considerarsi conclusa", rimarca Palù, secondo cui "il booster va fatto a tutti", mentre per la quarta dose "andando verso la bella stagione, se la circolazione virale continua a decrescere in tutto il nostro emisfero ma anche in tutte le fasce d'età, la cosa più logica è attendere l'autunno e soprattutto avere vaccini aggiornati".
In questa pandemia "abbiamo visto talk show, cabaret, presenzialismo televisivo da autodefiniti virologi, sconosciuti alla comunità scientifica internazionale, che hanno discettato di tutto e hanno banalizzato, se non impoverito una disciplina che è forse la più tributata di premi Nobel in medicina e fisiologia e chimica tra le discipline biomediche", ha sottolineato ancora Palù, ammettendo che un virologo soffre "quanto sente la sua disciplina volgarizzata".
"Anche questa settimana l'incidenza sta decrescendo, l'Rt si mantiene al di sotto della soglia epidemica di 1, sia quello calcolato sui pazienti sintomatici che quello dei pazienti ricoverati, rispettivamente a 0,72 e a 0,77. In tutti i Paesi europei c'è una decrescita dei nuovi casi e la curva più evidenziata rappresenta il nostro Paese, che conferma che c'è una circolazione in decrescita; in tutte le Regioni italiane continua infatti la diminuzione del numero di nuovi casi".
Lo afferma Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di Sanità e portavoce del Comitato tecnico scientifico, nel video di commento ai dati della cabina di regia sul monitoraggio dell'epidemia da Covid-19. "Tutte le fasce di età sono in decrescita per il numero dei casi- sottolinea Brusaferro- anche nelle fasce di età più giovani. In quasi tutte le Regioni il valore di Rt è sotto 1, alcune sopra 1 ma con intervalli di confidenza del limite inferiore sotto il valore di 1. Il dato dell'età mediana di chi contrae l'infezione, di chi viene ospedalizzato e di chi decede, si conferma anche questa settimana sui medesimi valori", rassicura il presidente Iss.
"Ai 433 casi per 100 mila abitanti di questa settimana possiamo comparare i 552 della settimana scorsa e 672 di due settimane fa, un trend in continua decrescita. Per l'occupazione dei posti in intensiva e in area medica vediamo, rispettivamente, che il tasso scende dall'8,4% al 6,6%, ovvero dagli 839 ai 654 pazienti in intensiva questa settimana. Per quanto riguarda i pazienti ricoverati in area medica si scende dal 18,5% al 14,7% con gli ospedalizzati, che scendono sotto le 10 mila unità e questa settimana sono 9.599. Combinando questo valore con Rt, la proiezione a quattro settimane sulle terapie intensive è positiva- chiarisce- meno marcata la decrescita sui ricoveri che scendono, ma più lentamente". Rispetto alle reinfezioni, avverte ancora una volta Brusaferro, "con l'assoluta prevalenza di Omicron nel nostro Paese, chi ha contratto il virus con le precedenti varianti può ammalarsi nuovamente". Sul fronte delle vaccinazioni, il presidente Iss ribadisce che "rimane costante e importante il numero di persone che non hanno ancora fatto il vaccino".
Parliamo di milioni, a cui Brusaferro raccomanda ancora una volta di "fare il vaccino secondo le indicazioni del ministero della Salute. Sulla base di questo quadro, conclude Brusaferro, "tutte le Regioni sono a rischio basso, l'epidemia ha un chiaro segnale di miglioramento, su tutti i fronti, e la stima di trasmissibilità è sotto la soglia epidemica. Questo è dovuto a due elementi: il rispetto delle misure e dei comportamenti raccomandati e la copertura vaccinale, che è un fattore protettivo decisivo, con completamento del ciclo vaccinale, ovvero la dose di richiamo".
Il cobicistat, farmaco usato nella terapia di HIV/AIDS, potrebbe avere un'efficacia sul Covid-19. È il risultato di uno studio, per ora solo in vitro e in un modello animale, pubblicato sulla rivista dell'American Society of Microbiology, mBio, da un gruppo internazionale di ricercatori.
Secondo la ricerca il cobicistat inibisce la moltiplicazione del virus SARS-CoV-2 con un meccanismo diverso da quello dei farmaci ad ora utilizzati, ovvero ne blocca la fusione alle cellule bersaglio. Il farmaco inoltre, su un modello animale di criceto (Mesocricetus auratus), può attenuare la progressione della malattia potenziando l'effetto di un altro farmaco già testato contro il Covid, il remdesivir.
"Il cobicistat- si legge nella nota pubblicata sul sito dell'Istituto superiore di Sanità (Iss)- è stato selezionato con un approccio di riposizionamento farmacologico, in quanto tale composto viene tipicamente usato come booster per potenziare l'attività di inibitori della replicazione di HIV, incrementandone i livelli nel sangue. Secondo studi condotti durante e subito dopo l'epidemia di SARS-CoV (2003), anche da Andrea Savarino (Iss), uno dei coordinatori di questa ricerca, l'uso di questa classe di booster avrebbe potuto inibire la proteasi dei coronavirus. In effetti, i tentativi di usare il cobicistat all'insorgere dell'epidemia di SARS-CoV-2 non avevano portato risultati significativi". Come spiegano gli autori dello studio, uno dei motivi principale sono i dosaggi necessari per ottenere un effetto inibitorio contro la replicazione del virus.
"Lo studio- spiega Savarino- infatti dimostra che il cobicistat inibisce efficacemente la moltiplicazione del virus SARS-CoV-2 a livelli circa quattro volte superiori a quelli somministrati nelle sperimentazioni cliniche iniziali. Inoltre, dalla ricerca è emerso che il meccanismo è diverso da quello inizialmente postulato sulla base di simulazioni al computer. Il farmaco non inibisce la proteasi di SARS-CoV-2 ma ostacola la corretta formazione della proteina Spike, la stessa contro cui agiscono i vaccini e che serve a far penetrare il virus nelle cellule". Come descritto nell'articolo, questo meccanismo è stato confermato da una serie di esperimenti "condotti con tecniche tradizionali e innovative da tre gruppi di ricerca, due all'Università di Heidelberg, Germania, e l'altro alla Yale University, USA.
Un aspetto importante riscontrato nello studio è che il cobicistat, a dosaggio pieno- continua la nota dell'Iss- può aumentare l'efficacia antivirale del remdesivir, non solo in provetta, ma anche in vivo in un esperimento su modello animale condotto alla Freie Universität di Berlino. L'importanza di quest'osservazione risiede anche nel fatto che il remdesivir ha finora dimostrato un'efficacia clinica parziale, come risulta evidente dai risultati discordanti delle grandi sperimentazioni cliniche. Pertanto l'aggiunta di un ulteriore componente in grado di incrementare l'efficacia del remdesivir potrebbe rappresentare un passo importante nello sviluppo di terapie efficaci contro il Covid".
L'aspetto più "importante del nostro studio", afferma Iart Luca Shytaj, visiting professor all'Universitá Federale di San Paolo, Brasile, e autore principale del lavoro, "è la dimostrazione che un composto che coadiuva l'azione di altri farmaci possa anche avere un effetto antivirale in vivo. Questo doppio effetto potrebbe consentire di saggiare una vasta gamma di combinazioni farmacologiche- conclude- per arrivare ad avere un cocktail ottimale che possa inibire completamente la replicazione del virus".
Via libera dell'Ema al booster anti-Covid anticipato con il vaccino Spikevax* di Moderna. "I dati mostrano che un richiamo di Spikevax può essere somministrato già 3 mesi dopo la vaccinazione primaria, se necessario. L'Agenzia europea del farmaco ha consentito di ridurre l'intervallo tra il ciclo primario e il booster con questo vaccino". Lo ha annunciato Marco Cavaleri, responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici Covid-19 dell'Ema, durante il periodico aggiornamento per la stampa.
Ema fa inoltre sapere che il booster del vaccino anti-Covid Comirnaty* di Pfizer/BioNTech negli adolescenti over 12 è sicuro. "Israele ha fornito dati relativi a quasi 400mila adolescenti che avevano ricevuto una singola dose di richiamo. Non sono stati identificati nuovi problemi di sicurezza", ha sottolineato Cavaleri.
"Alcuni Stati membri" dell'Ue "stanno somministrando una seconda dose di richiamo" di vaccino anti-Covid non solo agli immunodepressi, ma anche "agli anziani di età superiore a 70 o 80 anni. Prima di emettere raccomandazioni in questo senso, come Ema dovremo prima osservare evidenze cliniche sufficienti" che "in questa fase non ci sono", ha ribadito ancora Cavaleri. "L'Ema - ha assicurato - continuerà a esaminare tutti i dati disponibili sull'uso di un secondo booster con vaccini mRna".
Il forte impatto della pandemia sui pazienti con malattie cardiovascolari ha creato una situazione delicata e richiede interventi urgenti e coordinati tra i vari attori del SSN. Questo è lo scenario emerso da Save your HEART, campagna di screening promossa dal Gruppo Servier in Italia, in collaborazione con la Società Italiana di Farmacia Clinica (SIFAC) e con il patrocinio della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA), della Società Italiana per lo studio dell’Aterosclerosi (SISA) e Conacuore Onlus. I risultati dello studio, condotto tra maggio e luglio 2021, sono stati recentemente pubblicati sul Giornale Italiano di Health Technology Assessment and Delivery[1].
“Dallo screening, condotto su oltre 500 soggetti ipertesi, sono emersi dati piuttosto allarmanti: il 68% dei partecipanti non raggiuge valori pressori accettabili, il 59% dei partecipanti trattati per l’ipercolesterolemia non presenta valori di colesterolo LDL a target mentre coloro i quali avevano dichiarato di non essere ipercolesterolemici, nel 72% dei casi presentano valori superiori a quelli indicati dalle linee guida per il colesterolo LDL. D’altro canto, il 69% degli ipertesi diabetici non ha un buon controllo della propria glicemia e tra coloro che hanno dichiarato di non avere il diabete, pari a circa l’85% del campione, sono stati riscontrati valori di glicemia tipici degli stati prediabetici e diabetici nel 31% dei casi. Un’ulteriore criticità viene dal fatto che quasi la metà dei partecipanti (49%) è risultata avere un rischio alto o molto alto di andare incontro ad un evento cardiovascolare fatale a 10 anni” - commenta Claudio Ferri, Professore Ordinario in Medicina Interna Università dell’Aquila e past President SIIA. “Questi numeri ci confermano la necessità di individuare un nuovo approccio clinico per identificare e trattare in maniera efficace i soggetti ipertesi, al fine di evitare possibili conseguenze cardiovascolari a medio e lungo termine, quali ictus cerebrale e infarto del miocardio”.
Save Your HEART è uno studio osservazionale condotto in 21 farmacie di comunità presenti in 15 regioni italiane, con l’obiettivo di indagare i fattori di rischio cardiovascolare non diagnosticati e/o non controllati in soggetti ipertesi in trattamento antipertensivo e intercettare i pazienti che sottovalutano o ignorano le possibili conseguenze a cui sono esposti. Lo screening ha coinvolto oltre 500 pazienti di età superiore o uguale a 50 anni - di entrambi i sessi - disponibili ad effettuare in autoanalisi la misurazione di pressione arteriosa, profilo lipidico (colesterolo totale, colesterolo HDL e colesterolo LDL) e glicemia, nonché la compilazione di un questionario sull’aderenza alle terapie in corso. “I risultati dello Studio restituiscono una fotografia preoccupante dello stato di salute dei pazienti ipertesi post pandemia ed evidenziano la necessità di un approccio clinico che miri a identificare e a trattare efficacemente i pazienti cronici” - spiega Maurizio Pace, Segretario Federazione Ordini Farmacisti Italiani (FOFI). “Già durante l’emergenza il farmacista di comunità ha svolto un compito chiave, assicurando la continuità dei trattamenti ai pazienti cronici, ma anche attività in prima linea come la consegna a domicilio dei farmaci per i pazienti anziani, immunocompromessi o affetti da malattie cronico-degenerative. Oggi però il nostro ruolo deve evolvere ulteriormente. Al farmacista, infatti, verrà sempre più richiesto il proprio contributo, per lavorare in sinergia con altre figure professionali all’interno di un team di cura quali MMG e specialista, intercettando soggetti a rischio, conducendo un’educazione personalizzata e reindirizzando al medico curante situazioni particolarmente critiche”.
Il Rapporto Salutequità del Ministero della Salute mostra la riduzione degli esami di laboratorio (67%) e delle visite ambulatoriali (13%) durante la prima ondata pandemica, scenario che si è verificato anche nel caso delle cure farmacologiche, con la tendenza dei pazienti a recarsi di meno presso le farmacie e con una inevitabile ricaduta sull’aderenza terapeutica.
Save Your HEART ha confermato questo stesso dato: infatti oltre il 40% dei pazienti è risultato solo parzialmente aderente, condizionando l’efficacia dei trattamenti stessi e causando un mancato controllo dei parametri pressori. “Sebbene le piattaforme tecnologiche a nostra disposizione ci abbiano permesso in molti casi di seguire e monitorare da remoto i pazienti ipertesi, è stato comunque inevitabile riscontrare un minor controllo dei valori della pressione arteriosa e una non adeguata aderenza alla terapia” - commenta Damiano Parretti, Responsabile Area Cardiovascolare Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG). “A due anni dall’inizio della pandemia risulta quindi ancora più importante riprendere i contatti in presenza e il controllo proattivo dei pazienti ipertesi e portatori di patologie croniche, monitorando la pressione e altri parametri quali peso corporeo e frequenza cardiaca, ma anche supportandoli nel percorso di cura attraverso la semplificazione posologica”.
Le malattie cardiovascolari rimangono la principale causa di morte a livello globale. I trattamenti farmacologici possono ridurre sostanzialmente morbilità e mortalità, ma l’efficacia di tali interventi è correlata ad una corretta aderenza e alla continuità della terapia. “Le Linee Guida Europee raccomandano un approccio diagnostico-terapeutico che si adatti alle esigenze dei singoli pazienti, anche attraverso la semplificazione dello schema terapeutico ove possibile” - conclude Marie-Georges Besse, Direttore Medical Affairs del Gruppo Servier in Italia. “Per questo motivoServier conferma il suo impegno come partner del Sistema Salute nella presa in carico del paziente cronico, mettendo a disposizione trattamenti sempre più efficaci e tollerati, ma anche sempre più ‘comodi’, come le combinazioni a dosi fisse di farmaci e le polipillole con più principi attivi nella stessa compressa, il cui fine è proprio quello di semplificare l’assunzione della terapia, a favore di un aumento dell'aderenza e di un conseguente successo del trattamento”.
In conclusione, Save Your HEART ha evidenziato la necessità di una nuova presa in carico del paziente che preveda il coinvolgimento di più attori quali medico specialista, MMG e farmacista, e l’esigenza di implementare azioni preventive che possano aiutare il paziente stesso a mantenere un buono stato di salute durante tutto l’arco della vita, agendo efficacemente sui fattori di rischio cardiovascolare.
[1]https://springerhealthcare.
Serve un cambio di rotta nell’assistenza cardiologica in Italia, perché le conseguenze dirette e indirette della pandemia stanno peggiorando la salute cardiovascolare dei cittadini.
I ritardi nell’assistenza registrati nelle varie ondate pandemiche rendono concreto il rischio di un’impennata di pazienti colpiti da malattie del cuore e di una regressione della mortalità cardiovascolare ai livelli di 20 anni fa. Uno studio pubblicato su “Nature Medicine” e condotto su più di 150.000 pazienti guariti dal Covid-19 confrontati con oltre 5 milioni di controlli sani ha dimostrato che, dopo il contagio, il rischio di patologie cardiovascolari aumenta significativamente, anche in chi ha meno di 65 anni senza fattori di rischio come obesità o diabete. È stato dimostrato che i pazienti guariti dal Covid hanno il 52% di probabilità in più di ictus. E il pericolo di scompenso cardiaco aumenta del 72%. È uno scenario che impone non solo di recuperare quanto prima i ritardi accumulati garantendo le cure con la massima priorità e salvaguardando la rete dell’emergenza cardiologica, ma anche di investire più risorse in ricerca e prevenzione.
Vanno inoltre eliminate le disparità tra gli standard di assistenza forniti nelle diverse Regioni, soprattutto per quanto riguarda diagnosi o interventi ad alta complessità nel Sud. E devono essere rinnovate le infrastrutture dei grandi ospedali.
“Si sta delineando un quadro preoccupante che rischia di annullare le importanti conquiste ottenute in oltre 20 anni – spiega Ciro Indolfi, Vicepresidente FOCE (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi) e Presidente SIC (Società Italiana Cardiologia) -. Le malattie del cuore interessano 7,5 milioni di persone in Italia. In 36 anni (1980-2016) la mortalità totale per le malattie cardiovascolari si è più che dimezzata e il contributo delle nuove terapie è stato quello che più ha influito su questa tendenza. Ma la pandemia sta annullando tutti questi progressi. Non è allarmismo ingiustificato, come qualcuno ha addirittura affermato. Le nostre preoccupazioni si basano su dati certi”.
Il ridimensionamento dell’assistenza è stato evidenziato da una recente indagine condotta dalla Società Italiana di Cardiologia (SIC) in 45 ospedali distribuiti sul territorio nazionale in due diverse fasi, a novembre/dicembre 2021 e a gennaio 2022: il 68% dei centri ha ridotto i ricoveri elettivi (programmati) dei pazienti cardiopatici, il 50% ha diminuito l’offerta degli esami diagnostici e il 45% ha tagliato le visite ambulatoriali. Il 22% ha dovuto addirittura ridurre i posti letto in terapia intensiva cardiologica (UTIC), mentre il 18% degli ospedali ha diminuito il personale medico in UTIC e il 13% quello infermieristico.
“Durante la prima ondata della pandemia, nella primavera del 2020, i ricoveri ospedalieri di emergenza per infarti e ictus si sono dimezzati, molte persone sono morte a casa o sono sopravvissute con danni gravi al cuore o al cervello, perché gli eventi cardiovascolari gravi sono tempo-dipendenti – afferma il prof. Indolfi -. Questa nuova indagine avvalora i nostri timori di una ripresa della mortalità e di prognosi peggiori per infarti, ictus e scompensi cardiaci. Sono diminuite le angioplastiche coronariche, le procedure per l’impianto di pacemaker e defibrillatori, le ablazioni. Non solo. Sono stati ridotti gli elettrocardiogrammi, le ecocardiografie e i test da sforzo. Tutto questo è allarmante: i pazienti cardiopatici non hanno trovato più un’assistenza adeguata alla prevenzione e al trattamento delle loro patologie. E si stima che una persona contagiata dal Covid-19 su cinque vada incontro a conseguenze cardiovascolari”.
In Italia le malattie cardiovascolari rappresentano il 44% di tutti i decessi e la cardiopatia ischemica è la principale causa di morte (28%). Dati destinati a peggiorare in mancanza di investimenti anche nella prevenzione. “Nel 2021, c’era oltre un milione di fumatori in più rispetto al passato – continua il prof. Indolfi -. Il 44% dei cittadini è aumentato di peso. Inoltre, si sono registrati incrementi del 23,6% fra i maschi e del 9,7% delle femmine del consumo eccessivo di alcol in grado di mettere a rischio la salute. Malattie croniche come tumori e patologie cardiovascolari possono essere prevenute efficacemente con uno stile di vita sano, ma i cittadini devono essere informati”.
Possibili soluzioni concrete sono delineate in un editoriale pubblicato su “Circulation”, cofirmato dal prof. Indolfi. “Esiste un’apparente disparità, che va risolta, tra gli standard di assistenza forniti nelle diverse Regioni, soprattutto per quanto riguarda diagnosi o interventi altamente complessi nel Sud – conclude il Vicepresidente FOCE -. Inoltre, i finanziamenti del Recovery Fund della Commissione Europea possono consentire il rinnovo delle infrastrutture dei grandi ospedali, con particolare riguardo alla distribuzione delle tecnologie sul territorio. E bisogna investire nella ricerca. Nonostante la qualità della ricerca cardiologica italiana sia elevata, le risorse sono insufficienti. In 14 anni, i fondi sono variati dall’1% all’1,4% del prodotto interno lordo, mentre la media europea è del 2%”.
Covid oggi in Italia, i ricoveri scendono del 21,6% in una settimana. E' il calo più netto registrato nell'ultimo mese negli ospedali sentinella, monitorati dalla Federazione italiana delle Aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso).
La curva delle ospedalizzazioni, infatti, ha cominciato a scendere il 1° febbraio con una lieve riduzione del 3% e per tutto il mese è stata evidenziata una decrescita graduale fino al picco registrato oggi. E se nei reparti ordinari intorno ai pazienti si attesta al 22% nelle terapie intensive il calo è pari al 18%.
Il report Fiaso conferma, inoltre, negli ospedali del Nord una discesa più veloce dei ricoveri pari al 26% mentre al Sud e nelle isole la curva si piega del 16%. Nelle strutture del Centro i pazienti sono ridotti del 23,5%. " Oggi abbiamo negli ospedali lo stesso numero di pazienti che la situazione ospedaliera prima di Natale, la situazione dei ricoveri Covid sta migliorando ma il virus non è ancora scomparso", spiega il presidente di Fiaso, Giovanni Migliore.
" Quello che stiamo osservando ormai da due mesi negli ospedali è la comparsa, sempre più frequenti, di diagnosi incidentali di positività al Sars-Cov-2: i cosiddetti pazienti con Covid, ovvero coloro che arrivano in ospedale per curare altre patologie e vengono trovati positivi al tampone pre-ricovero, rappresentano ormai la metà dei ricoveri ordinari. Questa conferma l'alta protezione vaccinale dalle forme gravi della malattia, ma spinge sempre più gli ospedali a soluzioni organizzative per poter garantire l'assistenza sanitaria a tutti”.
“Un altro dato ormai consolidato che emerge dalle nostre rilevazioni - continua Migliore - è che oltre il 90% dei pazienti che oggi vengono ricoverati, sia nei reparti ordinari sia nelle rianimazioni, con sindromi respiratori e polmonari da Covid è affetto da altre gravi malattie e più del 70% è composto da no vax o da soggetti vaccinati con l'ultima dose da oltre 4 mesi. La quarta disponibilità dei pazienti con comorbidità, che, anche se vaccinati, possono andare incontro a forme gravi, è un tema prioritario e conferma l'importanza di procedere con la somministrazione della dose verso i soggetti immunodepressi a 4 mesi di distanza dall'ultima dose ".
"Occorrono interventi di prevenzione primaria per le persone con comorbidità continuando a raccomandare l'uso della mascherina, evitare luoghi affollati e rispettare il distanziamento. Se si riuscisse a prevenire la maggior parte dei casi nelle persone con comorbidità, infatti - conclude il presidente Fiaso - i quadri gravi e i ricoveri in intensiva per Covid nelle zone un fenomeno residuale”.
La netta discesa dei ricoveri per Covid-19 in Italia si registra anche tra gli under18, con una percentuale di ospedalizzazioni ridotta in una settimana del 26%. Nel dettaglio: il 65% ha tra 0 e 4 anni, il 25% tra 5 e 11 anni, il 10% tra 12 e 18 anni. In particolare i neonati, da 0 a 6 mesi, costituiscono il 25% del totale.
Il numero di casi di piccoli pazienticoverati ricoverati senza vaccinati emerge dal report Fiaso per fortuna si è ridotto si genitori - vaccinati: l'85% dei genitori: l'85% dei genitori ha entrambi i casi, rimane solo un 15% di mancata vaccinale di uno copertura dei due genitori o di entrambi.
“L'aumento della copertura vaccinale dei genitori di bambini piccolissimi è un dato finalmente positivo. L'appello rivolto alla vaccinazione a mamme e papà che in questi mesi abbiamo instancabilmente - commenta il presidente di Fiaso, Giovanni Migliore - è andato evidentemente a segno: tocca agli adulti proteggere i più piccoli che non possono essere ancora vaccinati. È opportuno ribadirlo ancora per le donne in gravidanza che ancora non hanno fatto la profilassi vaccinale”, conclude.