Terapie sempre più ad personam messe a punto con farmaci e dosi tarate per ogni singolo paziente sulla base del proprio Dna. E’ la nuova frontiera della medicina, chiamata pangenomica, che utilizza le informazioni sul genoma umano per definire le cure (ma anche le attività di prevenzione) più adatte per ciascuna persona. Un nuovo approccio su cui viene fatto il punto a Bologna, nel corso di un incontro pubblico organizzato dall’Accademia delle Scienze alla Johns Hopkins University.
“Le sequenze del genoma differiscono leggermente tra gli individui- spiega Marco Seri, direttore scientifico dell’Irccs-Policlinico Sant’Orsola di Bologna- nel caso degli esseri umani, i genomi di due persone sono in media identici per oltre il 99%. Le piccole differenze contribuiscono all’unicità di ogni persona e possono fornire informazioni sulla sua salute, aiutando a diagnosticare una malattia, prevedere gli esiti e stabilire i trattamenti medici”.
Per comprendere queste differenze, continua Seri, “è necessario avere una sequenza di genoma umano di riferimento da utilizzare come standard”. La sequenza originale del genoma umano di riferimento ha quasi 20 anni e fino ad oggi è stata sempre aggiornata grazie alle nuove conoscenze e tecnologie.
Ma “il suo apporto può risultare limitato nella rappresentazione della diversità della specie umana- sottolinea Seri- poiché consiste di genomi di sole 20 persone circa e la maggior parte della sequenza di riferimento, circa il 70%, proviene da una sola persona, un americano con origini europee e africane”. Il nuovo ‘pangenoma’, invece, include sequenze di 47 persone diverse provenienti da Africa, Asia, Americhe ed Europa, Ma l’obiettivo dei ricercatori è arrivare a 350 persone. Grazie all’analisi del genoma, sintetizza il direttore scientifico del Sant’Orsola, sarà possibile avere per ogni individuo una mappa completa delle sue criticità di salute e di tutte le sue capacità di reazione. C’è però un tema di sostenibilità economica, soprattutto per un sistema sanitario nazionale già messo alle strette. “Se da una parte dobbiamo tenere in considerazione i costi legati alla produzione e conservazione del dato- afferma Seri- dall’altra dovremmo considerare i risparmi dovuti sia alla riduzione dei costi legati a terapie non appropriate sia a quelli inerenti percorsi diagnostici spesso molto lunghi. Inoltre dobbiamo considerare i risparmi per ricoveri e cure continuative di quei pazienti affetti da patologie complesse o croniche che potevano essere prevenute”.
Al meeting, voluto dal genetista Giovanni Romeo, porta i suoi studi anche Daniela Turchetti, direttrice della genetica medica del Sant’Orsola. “I rapporti tra genetica e cancro non si esauriscono nella predisposizione ereditaria- spiega la scienziata- è vero che circa un paziente oncologico su dieci si ammala a causa della presenza nel suo Dna di un’alterazione che favorisce lo sviluppo di tumori, e che conoscerla in tempo permette di fare una prevenzione efficace. Ma non tutti sanno che oggi individuare i difetti genetici specifici che stanno alla base di ogni tipo di cancro permette di individuare la terapia davvero più precisa, con farmaci a bersaglio molecolare, consentendo di monitorare l’evoluzione dei tumori durante la loro cura mediante la cosiddetta biopsia liquida”.