• Gio. Nov 13th, 2025

Dalla terapia genica la prospettiva per contrastare una malattia cerebrale

Una terapia genica applicata su modelli preclinici che permette di prevenire molte alterazioni cerebrali determinate dalla CTD. Questo è il risultato di un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Brain, che è stato svolto dall’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-In) e dall’Ircss Fondazione Stella Maris, in collaborazione con l’Istituto italiano di tecnologia. La carenza del trasportatore della creatina (CTD) è una rara malattia genetica legata al cromosoma X, che colpisce lo sviluppo cerebrale causando disabilitĂ  intellettiva, crisi epilettiche e comportamenti assimilabili a quelli dello spettro autistico. Questa patologia, per la quale al momento non esistono terapie efficaci, si manifesta nelle prime fasi dello sviluppo, compromettendo in maniera profonda la connettivitĂ  tra diverse aree del cervello.

 â€śLa terapia sperimentale che somministriamo in fase perinatale, ovvero nel periodo a cavallo della nascita, prevede l’introduzione nel modello murino del gene umano che codifica la proteina responsabile del trasporto della creatina. Così facendo, siamo riusciti a ripristinare l’organizzazione funzionale del cervello e a migliorare significativamente le funzioni cognitive e comportamentali, garantendo effetti benefici e duraturi fino all’etĂ  adulta”, spiega Laura Baroncelli, ricercatrice del Cnr-In e coordinatrice della ricerca.

Particolarmente importante è l’aspetto che riguarda la calibrazione dell’espressione genica nella somministrazione della terapia, visto che alcuni sintomi, come i deficit in specifiche forme di memoria, possono non essere completamente corretti e c’è il rischio di effetti collaterali indesiderati sui modelli sani. “Questa ricerca ci ha consentito di acquisire conoscenze sui meccanismi cerebrali che vengono alterati dalla CTD, con la speranza che lo sviluppo delle terapie geniche possa avere ricadute cliniche positive, migliorando così la qualità di vita delle persone affette da questa patologia”, conclude Baroncelli.

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