• Mar. Lug 15th, 2025

In uno studio guidato dall’UniversitĂ  Statale di Milano e dall’Istituto Europeo di Oncologia, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, i ricercatori hanno svelato il profondo cambiamento del metabolismo cellulare che induce la resistenza delle cellule tumorali ai trattamenti farmacologici contro il tumore al fegato. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Signal Transduction and Targeted Therapy, del gruppo Nature.

Il gruppo di ricerca ha studiato su colture cellulari il comportamento delle cellule tumorali trattate con sorafenibun farmaco usato nelle forme avanzate di carcinoma epatocellulare, una delle piĂą comuni forme di cancro al fegato. Il farmaco, sebbene inizialmente efficace, dopo alcuni mesi perde spesso la sua capacitĂ  di agire nel 50% circa dei pazienti poichĂ© il tumore sviluppa resistenza.

I ricercatori hanno scoperto che le cellule tumorali “imparano” a deviare le vie del metabolismo degli zuccheri per produrre glicerolo, una molecola che funge da “impalcatura” per costruire nuove membrane cellulari. Contemporaneamente le cellule cancerose assorbono acidi grassi dall’ambiente esterno, che si legano al glicerolo e completano così una nuova struttura della membrana. Questo rimodellamento rafforza le cellule tumorali, rendendole piĂą resistenti allo stress causato dai trattamenti.

Spiega il professor Nico Mitro, giĂ  vincitore del Career Development Award della Fondazione Armenise-Harvard e docente di biochimica dell’UniversitĂ  degli Studi di Milano: “Come alcuni animali cambiano pelle per adattarsi all’ambiente, anche le cellule tumorali si trasformano, modificando la propria struttura in modo da sfuggire all’effetto dei farmaci. Dopo una prima fase di trattamento farmacologico, le cellule cancerose sopravvissute sono in grado di riorganizzare i lipidi nella loro membrana esterna e diventare così resistenti ai trattamenti”.

Uno degli aspetti piĂą promettenti dello studio è l’identificazione di due possibili biomarcatori nel sangue dei pazienti trattati con sorafenib. L’accumulo di D-lattato sembra indicare che il trattamento sta funzionando, mentre un aumento del glicerolo potrebbe segnalare l’inizio della resistenza del tumore. Questi indicatori potrebbero diventare strumenti utili per monitorare in modo piĂą preciso l’efficacia delle terapie e intervenire tempestivamente con possibili strategie alternative.

Conclude Nico Mitro: “Queste scoperte aprono nuove prospettive nella lotta contro il carcinoma epatocellulare e, piĂą in generale, nella comprensione dei meccanismi con cui i tumori diventano resistenti ai farmaci. In futuro, una conoscenza piĂą approfondita del metabolismo delle cellule tumorali potrĂ  portare allo sviluppo di terapie sempre piĂą mirate e precise, capaci di migliorare l’efficacia dei trattamenti e la qualitĂ  della vita dei pazienti.”

La ricerca è stata coordinata dal professor Nico Mitro e ha coinvolto scienziati del dipartimento di Scienze farmacologiche e biomolecolari dell’Università degli Studi di Milano e del dipartimento di Oncologia sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia. Hanno collaborato anche importanti centri di ricerca italiani, tra cui l’IRCCS Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori (IRST) “Dino Amadori” di Meldola e l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.

Lo studio: Pedretti S, Palermo F, Braghin M et al.D-lactate and glycerol as potential biomarkers of sorafenib activity in hepatocellular carcinoma. Signal Transduction and Targeted Therapy, 2025, 10(1):200. Doi: 10.1038/s41392-025-02282-z

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