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I medici italiani sono i meno pagati d’Europa. Il confronto con gli altri Paesi. I dati

La necessità di aumentare la retribuzione dei medici in Italia, tornata di attualità alle porte di una finanziaria che appare, al momento, scarsa di risorse, va collocata all’interno del contesto europeo e correlata a fenomeni migratori che non interessano solo l’Italia.

La ricerca di remunerazioni più attrattive è solo una delle motivazioni che spinge le mediche e i medici a migrare dal proprio Paese di origine e di formazione, insieme con il desiderio di una migliore organizzazione del lavoro, di maggiori opportunità di carriera e di una valorizzazione del proprio stato professionale e sociale.

La recente analisi prodotta dalla Federazione Europea dei medici salariati (FEMS), presentata nel FEMS White Book (https://www.fems.net/images/Fems_documents/Documents/2024/FEMS__Digital_1.pdf ), ha preso in considerazione i dati forniti dai sindacati e dalle associazioni mediche di 21 paesi europei. I compensi dei medici del settore pubblico, espressi come importi lordi, netti e a parità di potere di acquisto (PPP), sono stati ordinati per livelli di esperienza e fascia di anzianità di servizio: medici in formazione, specialisti con esperienza di 0-10 anni, di 10-25 anni e oltre 25 anni, o medici senior.

Dall’analisi dei dati emerge chiaramente che l’Italia non valorizza economicamente i suoi professionisti, sin dal percorso di formazione specialistica.

GLI SPECIALIZZANDI

La remunerazione dei medici italiani in formazione specialistica, corretta per il potere di acquisto, si pone al quint’ultimo posto in Europa, al disopra solo di Spagna, Grecia, Rep. Ceca e Slovacchia (Fig.1). La Spagna, però, recupera una posizione più vantaggiosa sin dalla fascia successiva, al momento dell’ingresso dei medici da specialisti nel sistema sanitario

Paesi come Olanda, Germania, Austria e Svezia mostrano sin dall’inizio della carriera un forte investimento nella remunerazione, ma stupisce positivamente il dato di Romania, Bulgaria e Croazia, valutato a parità di potere di acquisto. Questi Paesi intervengono proprio in quella fascia di età in cui i professionisti possono con maggiore serenità decidere dove porre le basi della vita personale, familiare e professionale.

È proprio questo un elemento che deve contribuire alla discussione sul tema dei salari. Perché è all’esordio della carriera che è necessario fidelizzare e valorizzare un professionista nel suo territorio, per aiutarlo a radicarsi nel luogo dove è cresciuto o si è formato. È una ovvietà ricordare che un medico ha più facilità a spostarsi all’inizio della sua carriera o comunque quando l’età anagrafica e le scelte di vita permettono ancora di sperimentare potenzialità al di fuori dei confini nazionali.

I DIRIGENTI MEDICI

Le remunerazioni dei medici italiani si mantengono basse anche nella classe di comparazione successiva (0-10 anni) (Fig.2) mentre guadagnano posizioni tra i medici senior (Fig.3). Questo dato, però, non deve rasserenare i politici, sia perché si resta lontano dai maggiori paesi industrializzati sia perché  un professionista con oltre 25 anni di anzianità di servizio è uno specialista stanco e insoddisfatto di esercitare nel sistema pubblico (vedi la survey presentata all’interno del FEMS White Book a proposito della soddisfazione professionale e quella ANAAO sul burn-out dei dirigenti medici)ma ha le competenze sufficienti per trovare maggiori riconoscimenti economici e professionali nel privato.

La Fig.4 ci dimostra che i dati relativi alla remunerazione sono fluidi perché potrebbero facilmente risentire delle politiche economiche e finanziarie dei singoli Paesi. Il dato nuovo è, però, che, accanto alla consolidata posizione di Germania, Francia, Austria ed Olanda, si affacciano Paesi che investono molto nei professionisti sanitari, anche per arginare il fenomeno migratorio ed evitare il “deserto bianco”. Mentre l’Italia inizia a volgere uno sguardo interessato all’Est europeo, oltre che all’America latina, proprio i paesi dell’Est Europa, dove fino a qualche anno fa le retribuzioni erano un elemento limitante per i professionisti, vanno in contro tendenza su salari e organizzazione del lavoro.

I dati degli stipendi dei medici pubblici nei paesi europei evidenziano la necessità di interventi politici mirati per affrontare la progressione salariale, contrastare le disparità regionali, trattenere professionisti qualificati, promuovere la cooperazione transfrontaliera e costruire sistemi sanitari resilienti e inclusivi che soddisfino le esigenze di popolazioni diverse in tutta Europa e aiutino i professionisti sanitari a scegliere liberamente dove esercitare la propria professione.

CONCLUSIONI

“Il quadro italiano in rapporto all’Europa appare molto allarmante, anche considerando gli ultimi dati Censis che evidenziano come nel periodo 2015-2022 i salari dei dirigenti medici in Italia siano calati del 6,2% e la spesa dei contratti a tempo indeterminato diminuita del 2,8%” commentano Alessandra Spedicato Presidente Fems e Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale Anaao Assomed.

“Ma non è solo una questione economica che spinge i dirigenti medici e sanitari a fuggire dagli ospedali (8000, secondo lo studio Anaao  solo nell’ultimo anno e mezzo) ma anche le condizioni di lavoro, penalizzate dalle mancate assunzioni, le scarse possibilità di carriera (12% arriva ai livelli apicali, di cui solo il 2% donne) inficiate da scelte politiche che non premiano il merito, il mancato rispetto dei contratti sottoscritti, la deficitaria sicurezza dovuta al crescere delle aggressioni (16000 solo nel 2023, dati FNOMCEO) e le denunce civili e/o penali (35000 l’anno)”.

“Occorre un cambio di rotta immediato e anche con questo obiettivo il 20 novembre saremo a scioperare e in piazza a manifestare, sapendo che questa giornata, in assenza di risposte positive, non resterà isolata. Se pure il governo in carica non è il solo responsabile dello stato della sanità italiana, potrebbe essere responsabile del colpo di grazia ad un SSN in crisi profonda. La questione delle retribuzioni dei medici è questione politica perché riguarda il valore del lavoro e quello di chi lo fa, e perché una politica retributiva inadeguata disincentiva la domanda di formazione e alimenta le fughe”.

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