• Dom. Nov 16th, 2025

La Sardegna si conferma tra le regioni italiane con la più alta incidenza di “sintomi depressivi significativi e duraturi”, ma un dato positivo arriva dall’ultimo rapporto nazionale sulla salute mentale che registra un importante aumento della prevalenza di utenti trattati per depressione nei servizi pubblici dell’isola. Si è passati, spiega Federica Pinna, direttrice di psichiatria del San Giovanni di Dio di Cagliari, “da 10,5 a 37,5 per 10.000 abitanti tra il 2022 e il 2023, un dato ora in linea con la media nazionale di 36,5 per 10.000 abitanti”.


Questa crescita, osserva la psichiatra, “potrebbe indicare una maggiore capacità del sistema sanitario di intercettare il disagio psicologico, ma anche una progressiva riduzione dello stigma legato alla salute mentale con un numero crescente di persone disposte a rivolgersi ai servizi territoriali”.
Nonostante questi segnali incoraggianti, “solo una minoranza delle persone affette da depressione riceve una diagnosi e una terapia di elevata qualità- avverte Pinna-. La maggior parte continua a non essere trattata o ad essere trattata in modo non ottimale”.
Nel dettaglio, in Sardegna sono circa 145.000 i sardi coinvolti da questo disturbo, il 10,1% degli adulti e il 12,3% degli anziani: “A incrementare il rischio di depressione nell’isola spiega la professoressa- lo stato di povertà, la disoccupazione, l’isolamento, gli eventi di vita stressanti e le malattie fisiche croniche. Le categorie più colpite sono le donne e gli anziani, con un incremento recente nei più giovani, in particolare dopo la pandemia”.
Le principali strategie di trattamento, aggiunge Mirko Manchia, direttore della scuola di specializzazione in psichiatria dell’Ateneo di Cagliari, “vedono protagonisti gli antidepressivi, farmaci che richiedono un’adeguata formazione per la loro gestione clinica e che spesso sono integrati con percorsi di psicoterapia o di terapie complementari biologiche come la stimolazione magnetica transcranica”. Un terzo dei pazienti manifesta resistenza ai trattamenti, spiega il professore, “e per questo c’è necessità di intervenire con strategie diverse come, ad esempio, l’utilizzo di farmaci cosiddetti a rapida azione”.

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