
In Italia il 15% dei bambini è un parlatore tardivo, cioè a 2-3 anni d’età parla poco o nulla. Un esercito di circa 400mila bambini che, nel 25% dei casi, uno su quattro, sviluppa un Disturbo primario del linguaggio (Dpl), conosciuto anche come Developmental language disorder (Dld), ma ancora troppo spesso confuso con altre difficoltà o identificato tardi, quando le conseguenze sono già evidenti.
Se non diagnosticato tempestivamente, il Dpl, che colpisce complessivamente circa un bambino su 14, ovvero il 7% di quelli in età prescolare, può avere un impatto negativo nell’infanzia e nell’adolescenza, influenzando il rendimento scolastico e le relazioni sociali, e anche in età adulta, aumentando il rischio di depressione e ansia. Anche se i numeri sono stabili negli ultimi dieci anni, si tratta di un’ampia fascia della popolazione infantile che richiede attenzione precoce, perché intercettare i segnali critici prima dei 3 anni può significare evitare un aggravamento del quadro clinico. Se ne è parlato a Villa Contarini, a Piazzola sul Brenta (Padova), al convegno ‘Evidence Based Medicine nel neurosviluppo: un focus sul Disturbo Primario del Linguaggio’. L’evento è organizzato dalla Fondazione G.E. Ghirardi Ets in collaborazione con Clasta (Communication & Language Acquisition Studies in Typical & Atypical populations), Fli e LabAcademy, e rinnova il percorso avviato nel 2018 con la prima consensus conference sul Dpl, redatta con il supporto del Sistema nazionale linee guida e dell’Istituto superiore di sanità .
“A sette anni dalla prima consensus conference sul Disturbo primario del linguaggio- afferma Maria Chiara Levorato, referente Clasta, organizzatrice del convegno e già professore ordinario alla facoltà di Psicologia dell’università degli Studi di Padova- è il momento di fare un salto in avanti. Oggi disponiamo di conoscenze più solide, ma occorre rendere omogeneo l’accesso agli strumenti diagnostici e potenziare il lavoro in rete tra pediatri, educatori, clinici e famiglie. Il nostro obiettivo è migliorare l’identificazione precoce del disturbo e la presa in carico tempestiva, per ridurre le diseguaglianze e le conseguenze, spesso gravissime in adolescenza e in età adulta”.
Il disturbo può essere diagnosticato già a partire dai 4 anni, ma gli indicatori predittivi emergono molto prima. “Nella fascia 0-3 anni- aggiunge la presidente della Federazione logopedisti italiani, Tiziana Rossetto- ci sono tappe di sviluppo fondamentali. Per questo sarà centrale il tema dello screening precoce entro i 36 mesi, insieme all’uso di strumenti di potenziamento nella scuola dell’infanzia e al coinvolgimento dei genitori. In Italia abbiamo a disposizione strumenti validati come il Primo vocabolario del bambino, che consente una valutazione semplice ma efficace delle competenze linguistiche”. Il quadro riguarda da vicino anche i cosiddetti ‘late talkers’, bambini che parlano poco o in ritardo rispetto ai coetanei, ma non sempre sviluppano un disturbo.
“A due anni- spiega Alessandra Sansavini, professoressa ordinaria di Psicologia dello sviluppo all’università di Bologna- un bambino dovrebbe produrre almeno 50 parole della lingua a cui è stato esposto dalla nascita. E a 2 anni e mezzo dovrebbe combinare almeno due parole per formare le prime frasi. Anche il gesto di indicare è importante: serve a condividere l’attenzione con l’adulto su ciò a cui il bambino è interessato e vuole comunicare. Se è assente a 12 mesi o ancora scarsamente prodotto a 18 mesi, è un indicatore da considerare”. “Questi indicatori predittivi- dice ancora- sono condivisi in letteratura devono essere individuati precocemente dai pediatri con la collaborazione di genitori, educatori e insegnanti, e valutati da una équipe multiprofessionale, costituita da neuropsichiatra, logopedista e psicologo, mediante un percorso di valutazione e monitoraggio, attivando anche percorsi per promuovere gli scambi comunicativi tra genitori e bambini e favorire lo sviluppo del linguaggio”. La complessità del Dpl riguarda anche le comorbidità con altri disturbi del neurosviluppo.
“Il Disturbo primario del linguaggio- dichiara Elisa Granocchio, neuropsichiatra infantile dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano- è spesso associato ad altre condizioni come l’Adhd, i disturbi della coordinazione motoria o dell’apprendimento. In età adolescenziale o adulta, i ragazzi con Dpl non trattato possono quindi sviluppare ansia, depressione e difficoltà sociali”. La diagnosi resta complessa, anche per la mancata armonizzazione tra classificazioni cliniche internazionali e pratica italiana. “Tuttavia- rende noto Granocchio- la genetica sta offrendo nuove chiavi interpretative, studiando alterazioni dei cromosomi sessuali, sbilanciamenti genomici o varianti geniche sono alla base di alcuni fenotipi clinici, aprendo prospettive per lo sviluppo di terapie mirate, come già avviene in altri ambiti del neurosviluppo”. Il rischio è che questi ragazzi restino invisibili proprio nel momento più critico della crescita.
“Il Dpl- osserva Anna Giulia De Cagno, logopedista e vicepresidente Fli- non sparisce con la crescita, ma assume forme meno riconoscibili. Studi recenti mostrano che oltre il 15% degli adolescenti presenta difficoltà comunicativo-linguistiche significative, con un rapporto di 2:1 tra maschi e femmine. Le difficoltà riguardano la comprensione dei testi scolastici, la produzione scritta, il linguaggio metaforico e le relazioni sociali. Più del 60% dei ragazzi con DPL riferisce episodi di bullismo. È essenziale che anche le scuole superiori siano sensibilizzate, per evitare che questi ragazzi restino senza diagnosi né supporto”. Il convegno ‘Evidence Based Medicine nel neurosviluppo: un focus sul Disturbo Primario del Linguaggio’ sarà anche l’occasione per rilanciare e aggiornare la consensus conference nazionale.
“Questo- informa Maya Roch, professore associato al dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione all’università di Padova- avverrà in un’ottica di miglioramento dell’identificazione, della presa in carico e della qualità delle cure su tutto il territorio”. “Abbiamo infatti a disposizione strumenti validi, scale condivise, linee guida: ora- conclude la presidente Fli, Tiziana Rossetto- serve una strategia nazionale strutturata e uniforme. È tempo di agire”.