UIL Lazio, in crisi sanita' di Roma e del Lazio. Lunghe liste d' attesa, esami rinviati. Boom del privato e disuguaglianze sociali
Nota sindacato UIL LAZIO
"Oltre il 50% di visite specialistiche in meno, prevenzione quasi annullata, così come i controlli dei malati cronici e allo sbando i servizi di salute mentale. Si presenta così la sanità pubblica capitolina al tempo del coronavirus.
Da febbraio a oggi infatti i romani stanno facendo i conti, oltre che con la paura e l’ansia da covid, con un sistema sanitario, che ha rivelato tutte le falle e le mancanze accumulate negli anni. Un sistema che sta producendo ulteriori discriminazioni sociali tra chi può permettersi il ricorso alla sanità privata, che in questo periodo registra un boom di accessi e chi, invece, è costretto ad attendere 8-9 mesi per un esame o rinunciare a curarsi.
La denuncia è della Uil del Lazio, che ha monitorato alcuni ospedali della Capitale e ascoltato diversi medici di base e pazienti alle prese con prenotazioni impossibili. Anche contattare il cup della Regione LAZIO è una vera e propria impresa e ottenere una semplice risposta dell’operatore richiede anche due giorni di tempo. Una volta riusciti finalmente nell’intento, la risposta diventa sconfortante: 6-7 mesi per una risonanza, 8-9 mesi per un ecocardiogramma, 9 mesi per un’ecografia, tempi superiori a un anno per alcune visite specialistiche.
E a nulla sembra servire l’urgenza indicata sulla prescrizione medica. La lettera B infatti dovrebbe garantire la prestazione entro dieci giorni, ma la risposta dell’operatore è sempre la stessa: “Ci dispiace, la lista per la B è completamente esaurita” e i tempi rimangono quelli indicati. Unica alternativa l’intramoenia dove magicamente le attese si accorciano e di parecchio. La stessa risonanza per cui con il Ssn si sarebbe dovuto attendere 7 mesi, è fattibile entro una settimana e l’ecocardiogramma entro cinque, sei giorni. Spesso presso la stessa struttura ospedaliera dove sarebbe dovuta avvenire la prestazione a carico del servizio sanitario.
Va ancora peggio per i malati cronici: visite reumatologiche disdette direttamente dal nosocomio, visite endocrinologiche e ginecologiche inaccessibili e persino i controlli dei malati oncologici diventano una corsa a ostacoli. Gli stessi medici temono l’aggravarsi di molte patologie di cui, dicono, gli effetti si vedranno nei prossimi anni. Basti pensare alle cardiopatie e alle malattie dell’apparato cardiovascolare in genere. Visite dimezzate ed esami rinviati al 2021 non aiutano di certo la prevenzione, ne’ facilitano la rapidità di cui una diagnosi necessita. Va ancora peggio nell’ultima settimana dove, stando ai dati pubblicati dalla stessa Regione Lazio, si è registrato un ulteriore calo del 10% sulle visite specialistiche rispetto a un mese fa.
“Dati tra l’altro estremamente frammentari e non più comparabili – commenta il segretario generale della Uil del Lazio, Alberto Civica – perché si fermano alle ultime cinque settimane e non registrano uno storico per poter effettuare il giusto confronto con anni e mesi precedenti.
Non rimane quindi altra possibilità che ricavarli dalle testimonianze dirette dei diretti interessati: medici e pazienti. Di ogni età. Perché la situazione non migliora nemmeno per i più piccoli dove se i pediatri sono rimasti a presidiare il territorio, gli ospedali maggiormente preposti alla cura dei bambini hanno ridotto e di parecchio le visite e i controlli. Persino lo screening oncologico, lamentano i pediatri di base che puntano poi il dito soprattutto sul baratro in cui versa la salute mentale.
“Purtroppo li’ è tutto bloccato”, ci dicono, sottolineando che proprio in questo periodo ci sarebbe maggiore bisogno di assistenza perché “il covid sta creando moltissimi problemi agli adolescenti e andrebbero seguiti più di prima”. Impossibile anche prenotare una visita di controllo o un test per difficoltà di apprendimento, disturbo dell’attenzione, difficoltà mnemoniche. Tutto fermo da febbraio.
Anche in questo caso il ricorso al privato diventa un passo obbligato, acuendo così sin da piccoli quella differenziazione sociale tra chi può permetterselo e chi no. Tra chi ha un’assicurazione sanitaria, che in questo periodo sono aumentate in maniera esponenziale, e chi deve mettersi in lista d’attesa, confidando magari nelle disdette altrui per curare se stesso.
“Il nostro servizio sanitario nazionale, che continua a rimanere un’eccellenza, è stato massacrato da anni di tagli e sperperi – commenta Civica – e nel Lazio questo è più che mai evidente. Stiamo registrando una situazione di totale confusione dove ogni Asl, ogni ospedale sembra comportarsi in maniera differente. Sia in rapporto al paziente- visitatore in merito al Covid, sia nella gestione delle visite o degli esami. E questo nonostante un personale medico e infermieristico di altissimo livello. Ma è la gestione che non va. Il mancato coordinamento. L’approccio solipsistico alla gestione emergenziale e sanitaria in genere. E non ci riferiamo solo al mancato o saltuario coinvolgimento del sindacato”.
I medici di famiglia, i pediatri lamentano infatti la stessa cosa. “Nessuno ci ha ascoltati. Eppure qualche riserva su alcune normative e qualche proposta ce l’abbiamo”, dicono. Tutti i medici interpellati si sono detti contrari alla possibilità di effettuare i tamponi presso i propri studi. “La maggior parte degli ambulatori non risponde alle normative previste – spiegano – non ha un doppio accesso, ne’ la possibilità di differenziare le sale d’attesa, ne’ la possibilità di una sanificazione immediata in caso di positività a un tampone. E inoltre quasi tutti gli studi stanno all’interno dei condomini e questo creerebbe un ulteriore problema e pericolo di diffusione del virus”. Ma l’inadeguatezza degli spazi non è l’unica motivazione. A ciò si aggiunge il rischio, non così remoto, di trascurare le altre malattie.
“Siamo rimasti forse gli unici in questo periodo ad andare avanti con visite e controlli dei pazienti – dicono – se dovessimo dedicarci all’emergenza e quindi ai tamponi, i pazienti sarebbero allo sbando. Non avrebbero più alcun riferimento. E poi – aggiungono – i tamponi fanno parte della medicina d’urgenza a cui noi non apparteniamo”. Allora tutti in ospedale? Come si risolve il problema delle file esorbitanti? “Non necessariamente – risponde un pediatra – si potrebbero utilizzare gli spazi e il personale delle Asl, oppure i consultori che attualmente sono quasi completamente vuoti”. E le farmacie? Scettici anche su quelle. Proprio per motivi di sicurezza sanitaria: strutture spesso non idonee e impossibilità di sanificazione immediata.
“Dare la possibilità soprattutto ai consultori al momento semi vuoti di effettuare i tamponi o i test rapidi per il covid potrebbe essere una buona soluzione – commenta Civica – permetterebbe di snellire le lunghe code ai drive in o negli ospedali accreditati e al tempo stesso si garantirebbero le normative di sicurezza previste. Bisognerà inoltre far sì che ci siano disposizioni precise a cui tutte le strutture sanitarie dovranno attenersi”.
Il riferimento va soprattutto alle modalità di accesso ai nosocomi della Capitale. Per accedere al policlinico Umberto I ad esempio è sufficiente la misurazione della temperatura se si è a piedi, mentre via libera se si varca il cancello in macchina. Situazione analoga al San Camillo- Forlanini. Al Santo Spirito si viene indirizzati verso il check point che però sta già all’interno dell’ospedale. Al Cristo Re in zona Pineta Sacchetti test rapidi per il covid. Test rapidi anche per accedere a molte strutture private, dove la misurazione della temperatura all’ingresso e la compilazione del questionario è prassi costante e diffusa. Ma se nell’accesso ai propri spazi la sanità privata appare più meticolosa e più uniformata di quella pubblica, il discorso cambia se si parla di prestazioni, soprattutto relativamente al costo.
Il blocco della sanità pubblica ha fatto lievitare i prezzi del privato che spesso si rivela l’unico porto a cui approdare. Ciò vale per molte visite specialistiche, per gli esami diagnostici ma anche per test ed esami relativi all’individuazione del Covid 19. Basti pensare ad esempio al costo del test sierologico che in molti laboratori privati, inseriti tra l’altro nella lista delle strutture autorizzate dalla Regione LAZIO, è passato dai 35 euro dello scorso mese di maggio ai 60 attuali. Discorso analogo per la ricerca rapida di IgG e IgM che vengono inseriti in pacchetti da 35-40 e 50 euro.
“La confusione regna sovrana – conclude Civica – ogni laboratorio e ogni struttura si gestisce autonomamente e, al di là del rispetto diffuso per il costo stabilito dalla Regione (22 euro) per il tampone antigenico, ogni struttura propone ai pazienti pacchetti più o meno articolati e in alcuni casi, ci hanno spiegato gli stessi medici, completamente inutili o superflui. Comprendiamo che sia impossibile effettuare un controllo diretto sul territorio, ma normative chiare in materia consentirebbero una maggiore uniformità di costi, quindi di tenuta sociale e ridurrebbero notevolmente le forti speculazioni in atto”.
Speculazioni che non risparmiano nemmeno le RSA, dove nonostante le gravissime situazioni dei mesi scorsi, appaiono nuovamente impreparate dinanzi al dilagare della pandemia, a scapito prevalentemente dell’utenza e dei lavoratori, costretti a ricorrere obbligatoriamente alle ferie ormai esaurite o, al contrario, a fare straordinari e doppi turni. Spesso senza nemmeno un regolare contratto di lavoro".