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Nei bambini gli anticorpi contro i coronavirus stagionali non hanno impatto su Sars-Cov-2. Studio su Cell

L'intuizione era accattivante e alcune ricerche nei mesi passati sembravano sostenerla: i bambini sono meno vulnerabili al Sars-Cov2, perche' possiedono gia' diversi anticorpi contro i Coronavirus piu' comuni, dalla banale influenza a un piccolo raffreddore.

La recentissima pubblicazione di questa settimana: 'Seasonal human coronavirus antibodies are boosted upon SARS-CoV-2 infection but not associated with protection' sulla rivista scientifica 'Cell', mette in dubbio i presupposti della piu' seducente delle spiegazioni circa l'impetuosita' con cui il Sars-Cov2 colpisce gli adulti rispetto ai minori. Dunque no, gli anticorpi per i coronavirus stagionali non impattano sulla contrazione o meno del Sars-Cov2, al contrario di quanto rilevato dallo studio pubblicato a dicembre 2020 su 'Science'.

La ricerca precedente sottolineava, infatti, come a fronte del 5% di adulti in possesso di anticorpi per i piu' comuni coronavirus, i bambini si attestassero addirittura attorno al 43%. Rinforzando cosi' la credibilita' della teoria dell'immunita' di gregge tra i piu' piccoli data dalle ripetute influenze e raffreddori. Al vaglio dello studio appena uscito c'e' stata anche questa ipotesi, ma tra adulti e minori i ricercatori, scrive il New York Times, "non hanno trovato differenze di quantita' evidenti" di anticorpi.

Scott Hesley, immunologo all'University of Pennsylvania (UPenn) e 'lead contact' della ricerca, ha dichiarato: "Pensavamo di apprendere che gli individui con anticorpi preesistenti e prepandemici contro il Sars-Cov2 sarebbero risultati meno suscettibili alle infezioni" e, in caso di contrazione del Covid-19, "avrebbero sperimentato malattia meno grave- commenta- Purtroppo non e' quello che abbiamo trovato". Gli anticorpi, a quanto risulta, sono rilevabili "su uno ogni cinque individui", non risultano neutralizzanti, non possono disarmare il virus e non riescono ad attenuare la gravita' dei sintomi dopo l'infezione. Le rilevazioni si scontrano in maniera crescente con lo studio pregresso, 'Preexisting and de novo humoral immunity to SARS-CoV-2 in humans', che aveva "riportato livelli molto elevati di anticorpi neutralizzanti cross-reattivi (anticorpi in grado di agire su piu' di un tipo di virus) nei bambini".

Sul punto Hesley ha commentato: "Onestamente non ho una spiegazione per le differenze rispetto allo studio di Science". Influenti forse le differenti rilevazioni, in Pennsylvania l'ultima e in Gran Bretagna la prima. Il mondo dell'accademia statunitense, in ogni caso, si e' presto schierato a favore dello studio UPenn "davvero ben fatto", commenta Shane Crotty, virologo del La Jolla Institute of Immunology di San Diego, e a fargli eco e' Marion Pepper, immunologa dell'Universita' di Washington a Seattle: "Sono rimasta semplicemente colpita, e' difficile ottenere campioni di questo tipo. È come racchiudere tre studi in uno soltanto".

Hesley e colleghi, difatti, hanno esaminato il campione di sangue di 251 donatori prepandemici, che hanno poi sviluppato il Covid-19, e il loro livelli di anticorpi in grado di riconoscere il Sars-Cov2. I livelli "non erano diversi- si legge sul New York Times- da quelli delle 251 persone donatrici non rimaste infette dal Covid-19" (campione di controllo, ndr). In pratica, proprio come commenta il biologo evoluzionista del Fred Hutchison Cancer Research Center di Seattle, Jesse Bloom: "Se non vi e' alcun effetto misurabile in uno studio con centinaia di persone in entrambi i gruppi infetti e non infetti, allora l'effetto e' certamente minimo". Con questa ricerca, cadono quindi alcuni miti legati alla pandemia e ai bambini, si apre "un nuovo capitolo- chiosa Hesley- ma c'e' ancora cosi' tanto da imparare". 

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