MALATTIA DI KAWASAKI. LO STUDIO, MASCHI PIU' COLPITI E A RISCHIO COMPLICANZE
"La malattia di Kawasaki ha una maggiore incidenza nei maschi rispetto alle femmine (rapporto 1.5-1.7 a 1), i maschi sono anche più resistenti alle terapie e più a rischio di sviluppare complicanze cardiovascolari. Dunque si può dire che il genere maschile sia un fattore di rischio nella patogenesi e nel decorso della patologia".
A sottolinearlo è Alessandra Marchesi, pediatra dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma (Opbg), nel corso del suo intervento al 76esimo congresso italiano di Pediatria dedicato a 'medicina di genere e malattia di Kawasaki'. Quelle illustrate da Marchesi sono le conclusioni di uno studio sperimentale retrospettivo svolto dall'Opbg tra gennaio 2005 e agosto 2018 su un campione di 250 pazienti di età compresa tra 1 mese e 18 anni con l'obiettivo di valutare se il genere avesse un'influenza nel decorso clinico, terapeutico e prognostico della malattia.
"Sul campione oggetto del nostro studio abbiamo rilevato una prevalenza di pazienti di sesso maschile, con una percentuale che sfiora il 63% (157 pazienti) e un tasso d'incidenza che mostra un rapporto maschio/femmina pari a 1.69", evidenzia Marchesi. Lo studio ha valutato non solo l'incidenza ma anche il tipo di forma di Kawasaki sviluppata (tipica o incompleta); l'età d'esordio; gli esami di laboratorio; la risposta alla terapia convenzionale; lo sviluppo di complicanze cardiovascolari. In generale circa il 75% dei pazienti colpiti da Kawasaki ha un'età inferiore a 5 anni, con un picco tra i 9 e gli 11 mesi. L''incidenza mondiale della patologia varia tra i 4 e i 25 casi per 100.000 abitanti. "Il trattamento è ben codificato- spiega Marchesi- e prevede l'utilizzo in prima battuta di immunoglobuline ad alto dosaggio e di aspirina a dosaggio antinfiammatorio e antiaggregante ma negli ultimi anni sono stati utilizzati anche steroidi e farmaci biologici".
Se nello studio del Bambino Gesù "non abbiamo trovato differenze statisticamente rilevanti tra maschi e femmine per quanto riguarda la risposta alla terapia in riferimento all'età, la forma e il risultato degli esami- spiega la pediatra- tra i maschi abbiamo rilevato una sensibile percentuale di pazienti resistenti. Questo- dice- potrebbe essere spiegato perché, come dimostrato da molti studi presenti in letteratura, esiste un diverso profilo farmacologico tra i due sessi per assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione del farmaco". In particolare nello studio del Bambino Gesù "abbiamo rilevato un 24,6% di pazienti maschi che si sono dovuti trattare con una seconda somministrazione di immunoglobuline, a dispetto di un 13,25% di pazienti femmine", sottolinea Marchesi.
Inoltre, "se in generale abbiamo visto che i pazienti maschi sembrerebbero essere più predisposti allo sviluppo di complicanze cardiovascolari- dice la pediatra- in particolare andando a vedere i pazienti che hanno avuto complicanze in base alla terapia seguita (uno o due somministrazioni di immunoglobuline, steroidi o terapia biologica), abbiamo rilevato che all'interno dei pazienti trattati con la seconda somministrazione di immunoglobuline i maschi sono quelli più a rischio di avere una complicanza cardiovascolare". In conclusione, secondo Marchesi, "studi come questi sono importanti perché condurranno ad utilizzare un diverso approccio terapeutico in relazione al genere".