Covid, meno 50% infezioni con allergia alimentare

Chi ha un'allergia alimentare ha il 50% delle probabilità in meno di essere infettato dal Covid-19, perché l'infiammazione di tipo 2, caratteristica delle condizioni allergiche, può ridurre i livelli di una proteina chiamata recettore ACE2 sulla superficie delle cellule delle vie aeree.
Il Covid-19 utilizza proprio questo recettore per entrare nelle cellule, quindi la sua scarsità potrebbe limitare la capacità del virus di infettarle. Lo rivela uno studio finanziato dal National Institutes of Health (NIH), dal titolo 'Human Epidemiology and Response to SARS-CoV-2' (HEROS), i cui risultati sono stati pubblicati oggi nel Journal of Allergy and Clinical Immunology. Il team di studio HEROS ha monitorato l'infezione da SARS-CoV-2 in oltre 4.000 persone, in quasi 1.400 famiglie che includevano almeno una persona di età pari o inferiore a 21 anni. Questa sorveglianza è avvenuta in 12 città degli Stati Uniti tra maggio 2020 e febbraio 2021, prima dell'ampia diffusione dei vaccini Covid-19 tra gli operatori non sanitari negli Stati Uniti e prima dell'emergere di varianti preoccupanti. I partecipanti sono stati reclutati da studi esistenti finanziati dai NIH incentrati sulle malattie allergiche.
Circa la metà dei bambini, adolescenti e adulti partecipanti aveva un'allergia alimentare, asma, eczema o rinite allergica auto-riferiti. Tuttavia, l'asma e le altre condizioni allergiche monitorate - eczema e rinite allergica - non erano associate a una riduzione del rischio di infezione. I ricercatori HEROS hanno scoperto anche che i bambini, gli adolescenti e gli adulti coinvolti nello studio avevano tutti una probabilità del 14% circa di contrarre l'infezione da SARS-CoV-2 durante il periodo di sorveglianza di sei mesi. Le infezioni erano asintomatiche nel 75% dei bambini, nel 59% degli adolescenti e nel 38% degli adulti. Da qui "l'importanza di vaccinare i più piccoli ed attuare altre misure di salute pubblica per evitare che vengano infettati dal SARS-CoV-2, proteggendo così dal virus sia i bambini che i membri vulnerabili della loro famiglia", ha affermato Anthony S. Fauci, direttore del National Institute of Allergy, and Infectious Diseases (NIAID), parte del NIH. La conferma viene dalla quantità di SARS-CoV-2 trovata nei tamponi nasali, cioè la carica virale, che variava ampiamente tra i partecipanti allo studio in tutte le fasce d'età.
"L'intervallo di carica virale tra i bambini infetti- spiega il NIH- era paragonabile a quello di adolescenti e adulti. Dato il tasso di infezione asintomatica nei bambini, una percentuale maggiore di bambini infetti con carica virale elevata può essere asintomatica rispetto agli adulti infetti con carica virale elevata. Gli investigatori di HEROS hanno, quindi, concluso che i bambini piccoli possono essere trasmettitori di SARS-CoV-2 molto efficienti all'interno della famiglia a causa del loro alto tasso di infezione asintomatica, delle loro cariche virali potenzialmente elevate e delle loro strette interazioni fisiche con i membri della famiglia".
Nello studio HEROS i ricercatori hanno trovato, infine, una relazione forte e lineare tra il BMI (Indice di massa corporea) - una misura del grasso corporeo basata su altezza e peso - e il rischio di infezione da SARS-CoV-2. "Per ogni aumento di 10 punti del percentile BMI aumentava il rischio di infezione del 9%. I partecipanti in sovrappeso o obesi avevano un rischio di infezione del 41% maggiore- concludono gli studiosi- rispetto a quelli che non lo erano".
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