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Cancro del colon retto e coronavirus. Allarme della Sige, la pandemia rischia di far aumentare i casi

Il cancro del colon retto rappresenta una delle cause principali di tumore in Italia. Secondo i dati Aiom-Airtum, nel 2018 in Italia sono stati diagnosticati circa 28.800 nuovi casi di colon retto negli uomini e 22.500 nelle donne.

L’implementazione degli esami di screening attraverso il test del sangue occulto fecale ha dimostrato di essere in grado di ridurre l’incidenza e la mortalità nelle popolazioni controllate, con età compresa tra 50 e 69 anni. L’epidemia da coronavirus rischia però di rallentare gli importanti risultati sinora ottenuti.

A lanciare l’allarme è la Società italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva (Sige) in occasione della pubblicazione di uno studio recentemente condotto dall’Università di Bologna. Il numero dei pazienti colpiti da cancro del colon retto è costantemente diminuito nel tempo grazie alla capillare attività svolta dai centri screening regionali e dai centri di endoscopia digestiva dove sono erogate le colonscopie. Quando si parla di cancro al colon retto quello che spesso fa la differenza, infatti, è proprio la diagnosi precoce.

“La ricerca in ambito endoscopico, con la finalità di prevenire e trattare il cancro del colon retto in modo più preciso ed efficace, ha portato allo sviluppo di tecnologie di intelligenza artificiale - dichiara Alessandro Repici, professore di Gastroenterologia di Humanitas University, responsabile di Endoscopia digestiva dell’Irccs Humanitas e membro del Consiglio direttivo della Sige -. Queste nuove tecniche - oltre a consentire una maggiore precisione e una conseguente riduzione del carico di lavoro – permettono di differenziare le lesioni tumorali in base alle caratteristiche macroscopiche o vascolari e, in generale, una loro migliore rilevazione”.

Lo screening del cancro colorettale è perciò fondamentale e non può fermarsi. Purtroppo, la pandemia da Sars-Cov-2 ha determinato un arresto dei programmi di screening, sia in Italia che all’estero, dovuto ai lockdown ma anche alla necessità di riorganizzare i servizi e fare fronte all’emergenza. “Un recente studio che abbiamo pubblicato - sottolinea Luigi Ricciardiello, professore di Gastroenterologia all’Università di Bologna e Consigliere Sige - ha dimostrato che ritardi nell’erogazione dello screening superiori ai 6 mesi porterebbero a un aumento dei casi in stadio avanzato e che, per ritardi superiori ai 12 mesi, la mortalità a 5 anni aumenterebbe del 12%”.

È quindi fondamentale sensibilizzare costantemente la popolazione a sottoporsi all’esame del sangue occulto fecale poiché lo screening salva la vita. “L’attività di screening - conclude Maurizio Vecchi, professore di Gastroenterologia presso l’Università degli Studi di Milano e componente del Consiglio direttivo Sige - deve rimanere prioritaria sulla popolazione in virtù dell’alta incidenza della malattia sul nostro territorio, eventualmente anche attraverso percorsi alternativi che ne facilitino l’erogazione”.

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